Corriere della Sera

Il video del cantante con il padre malato «Non avere paura»

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Si può cantare l’attesa di un vuoto? Di quel vuoto che riempie, soffocando, di vertigini e di buio? Si possono trovare le parole per dire a un padre che sta per lasciare la vita, tutto il proprio amore, tutto il proprio dolore? Lo si può fare senza retorica e senza falsi pudori? Da quando ho visto e ascoltato Monsters di James Blunt ho capito che è possibile. Con gli occhi pieni di lacrime fissi nell’obiettivo il giovane cantante si rivolge a suo padre che ha il tempo contato, per una terribile malattia renale. «Io non sono tuo figlio, tu non sei mio padre. Siamo solo due uomini adulti che si dicono addio». Da quando l’ho visto, questo video, non riesco a liberarmi da quello sguardo, da quel dolore. Ci sono una grande dignità e una grande verità, in quegli occhi umidi. Le stesse che si trovano nello sguardo del padre che, a un certo punto del video, compare a fianco del figlio. Come in un gioco di specchi della vita, quel magnifico anziano, come una

pura proiezione di James nel tempo, stringe il suo braccio. Come fa un padre che vuole consolare il figlio, lo vuole rassicurar­e. È una meraviglio­sa dichiarazi­one d’amore, quella specie d’amore bellissimo che lega, comunque lega, un figlio e chi gli ha fatto vivere la vita. Un rapporto fatto di tante cose. Di litigi, di rancori, di dolcezze, di bisogno di autonomia, di fili spezzati e di legami inossidabi­li, di apprendime­nto e ribellione, di rabbia sofferta e di incessante dolcezza. «E mentre dormi, cercherò di renderti orgoglioso... Non aver paura, è il mio turno. Per scacciare i mostri». James, che è stato militare in Kosovo, che ha avuto il padre ufficiale dell’army Air Corps inglese, sa bene cosa sia la morte. Sa che ora tocca a lui, «scacciare i mostri» che arrivano quando la stanza si fa buia e ci si sente soli. Questa meraviglio­sa e straziante canzone, questo video sconcertan­te nella sua semplicità non appartengo­no alla pornografi­a dei sentimenti di questo tempo. Mi sembra ci sia una grande dignità e il senso più profondo del distacco. E persino una razionaliz­zazione della morte, affrontata di fronte, a testa alta, non nascosta, non taciuta come una vergogna. La morte come parte della vita, come zona di scambio del testimone, tappa che, come nella foto tra Coppi e Bartali, rende impossibil­e capire chi passa la borraccia a chi. «Cercherò di renderti orgoglioso». Non è in fondo questa la sfida principale della vita, la prova del fuoco che dentro di sé ciascuno sente di dover affrontare? Per chi ti ha dato la vita, per chi, come faceva Ettore con Astianatte, si è tolto l’elmo della battaglia, ti ha preso in braccio bambino, guardato fisso negli occhi, tirato verso il futuro? (w.v)

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James Blunt con il padre
Insieme James Blunt con il padre

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