Bankitalia allarga la platea dei soci Meno banche, più investitori e casse
Resta il tetto al possesso azionario del 3%. Sulle quote un rendimento del 4,5% annuo
Fondi pensione, casse previdenziali e altri investitori istituzionali. Cinque anni dopo la riforma, la Banca d’italia avvia un nuovo giro di consultazioni, con primi positivi riscontri, per allargare la base societaria radicandosi ancora di più nel mercato e nella società civile. Sotto la regia di Daniele Franco, economista e grand commis di Stato, direttore generale dall’inizio dell’anno, dopo sei alla guida della Ragioneria generale dello Stato, gli incontri per raccogliere nuove adesioni sono in corso da qualche settimana e porteranno a un’ulteriore rimescolamento di carte.
Con la riforma, il «ricambio di sangue» nell’azionariato della banca è stato assai consistente, si è mosso poco più del 33% del capitale e i primi tre soci ne hanno ceduto quasi il 30 per cento. Come ha sottolineato il governatore Ignazio Visco, su 124 soci, 92 sono entrati dopo la riforma. Resta ancora una fetta pari complessivamente a 2,5 miliardi di valore nominale eccedente rispetto al limite del 3% di capitale valido per ciascun singolo investitore. Oltre la soglia del 3% — pure entrata nelle discussioni di queste settimane sull’allargamento, ma fissata dalla legge di riforma (la numero 5 del 2014) — sono sterilizzati diritti di voto e dividendi. Questi ultimi sono fissati al 4,5% del capitale investito e trovarne di simili, nel contesto attuale, non è semplice nemmeno per grandi investitori, basti pensare che il Btp a 50 anni ha un rendimento effettivo lordo a scadenza del 2,1% e con il trentennale si va sotto il 2%.
Nel 2019 l’intera platea dei soci (banche, fondazioni, casse di previdenza, fondi e assicurazioni) ha ricevuto una cedola di 227 milioni a fronte di un utile netto al nuovo record storico, da 3,9 a 6,24 miliardi, che ha comportato la distribuzione al Tesoro di un dividendo per 5,71 miliardi, 2,3 più del precedente.
Ma se via XX Settembre incassa sempre, lo stesso non accade ai primi quattro soci, abbondantemente sopra il 3%: Intesa Sanpaolo (al 23%) Unicredit (al 12%), Generali (4%) e Carige (3,5% dopo l’ultima cessione avvenuta alla fine di gennaio). Sono loro la «coda» della riforma da sistemare. Oltre ai colloqui con fondi e altri investitori, l’attesa è per le venti casse private alle quali aderiscono due milioni di professionisti: nove sono azioniste con un pacchetto totale di oltre il 16% e un investimento di oltre un miliardo, altre arriveranno. Alberto Oliveti, presidente dell’enpam e dell’associazione tra le casse (Adepp) ha più volte manifestato la soddisfazione del sistema per l’investimento, ma all’assemblea di marzo si è anche chiesto pubblicamente se «in futuro possa essere considerata la possibilità, coerentemente con la dinamica degli utili previsti, di un aggiustamento della distribuzione verso i limiti superiori previsti dall’articolo 38 dello statuto di Banca d’italia» che fissa un dividend yeld massimo del 6 per cento.