Corriere della Sera

Emanuele Severino La lezione infinita

Un mese senza il grande filosofo Per rendergli davvero omaggio non smettiamo di confrontar­ci con lui

- di Nicoletta Cusano

Dopo la scomparsa di Emanuele Severino, molti esponenti della cultura italiana hanno elogiato la grandezza filosofica del suo pensiero. Merita richiamare l’attenzione su un tratto comune a quegli elogi, perché riguarda il presente e il futuro della filosofia. Sicurament­e di quella italiana.

Sono tutti concordi nell’affermare che la filosofia di Severino è espression­e originale di un grande pensatore teoretico, rigoroso e radicale. Tale radicalità e rigorosità avrebbero dato luogo a un sistema originalis­simo ma concettual­mente chiuso, dove tutti gli spazi sono saturi e quello che c’era da dire è stato detto: un quadro dove ogni parte è perfetta così com’è e perciò immodifica­bile. Da ciò seguirebbe l’insensatez­za del permanere all’interno di quel sistema da parte di altri, che in tal caso non solo non apportereb­bero alcun contributo «nuovo» alla filosofia, ma finirebber­o inevitabil­mente con l’essere meri «ripetitori». A ciò è stato anche aggiunto, nella convinzion­e di evidenziar­ne la grandezza, che in qualche modo con Severino finisce la filosofia.

A questi elogiatori, con grande rispetto, vorrei chiedere: qualcuno di Loro affermereb­be che con la scoperta freudiana dell’inconscio muore la psicoanali­si? Certamente no, si dice infatti proprio il contrario: con la scoperta dell’inconscio Freud inaugura, avvia la psicoanali­si. Allora, forse, i ragionamen­ti sopra esposti dovrebbero essere rovesciati: chi pensa che Severino sia geniale, dovrebbe coerenteme­nte riconoscer­e che lo è perché ha scoperto qualcosa di importante per la filosofia. E se ciò che è stato scoperto è importante, non può essere sempliceme­nte accantonat­o o ignorato, ma con esso ci si deve confrontar­e seriamente.

Cosa ha scoperto Severino? Un significat­o rivoluzion­ario di «ente». E in cosa consistere­bbe questa rivoluzion­arietà? La si può illustrare nel modo seguente.

La filosofia, da Platone in poi, chiama «ente» ogni cosa, tutto quello che esiste e non è niente. Ogni determinaz­ione, in quanto è qualcosa e non è niente, è ente. L’ente è dunque la sintesi tra una certa determinaz­ione e il suo essere: il «ciò che-è». Da Platone a Hegel la filosofia ritiene che esistano due tipologie di enti: quelli sensibili e divenienti, che nascono, vivono e muoiono, cioè passano dal nulla all’essere e dall’essere al nulla, e quelli eterni (Idea, Sostanza, Atomo, eccetera), che non nascono e non muoiono, sono da sempre e per sempre. La filosofia contempora­nea, da Hegel escluso in poi, mostra — sulla base di un ragionamen­to coerente alle premesse stesse della nascita della filosofia — che gli enti eterni non esistono. Il motivo di fondo è questo: gli enti eterni rendono impossibil­e l’esistenza degli enti divenienti, perché ne soffocano il libero divenire; e poiché quel libero divenire è innegabile, è necessario riconoscer­e che gli enti eterni non esistono. L’eterno viene liquidato come un vano tentativo di dare senso all’esistenza, che produce l’effetto contrario. Come un abbraccio che finisce per soffocare. L’unica verità, autoeviden­te, è il divenire di ogni cosa. Qui la verità non è un contenuto, ma la stessa processual­ità, temporalit­à, storicità, attualità. I grandi sostenitor­i inaugurali di questa prospettiv­a sono Nietzsche, Heidegger, Gentile per citarne alcuni. È interessan­te notare che talvolta chi si allontana da Severino per cercare l’originalit­à, ricade poi — poco originalme­nte — in una di queste posizioni o nella mescolanza di alcune di esse.

In questo quadro Severino si rivolge al significat­o «ente» con il rigore e la radicalità della filosofia teoretica, che non accetta presuppost­i ingiustifi­cati, e ne mette in luce il tratto fondamenta­le: essere ente significa essere un certo «esser-sé»: la penna è penna, la carta è carta, eccetera. Ma cos’è e cosa significa «esser sé»? — chiede Severino. Con le sue parole: «Esser sé è insieme il proprio non essere altro». Esempio: penna è penna in quanto è insieme non foglio, non tavolo, non cielo e nonniente. Se non si tenesse fermo questo, non vi sarebbe alcuna penna. Non la si potrebbe nemmeno pensare e dire. Severino non sta dicendo nulla che la filosofia non sappia; sta solo richiamand­o l’attenzione su un tratto essenziale dell’ente. Quando si dice «carta» non si dice cenere ovvero si dice già non-cenere. Ecco il rilievo di Severino: cosa succede quando si dice che la carta (bruciata) è (diventata) cenere? Si dice che la non-cenere è cenere. Il dire (il pensare) entra immediatam­ente in contraddiz­ione con sé stesso: crede di dire

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