Corriere della Sera

L’AMERICA E IL CENTRO PERDUTO

L’america e il centro perduto La conferma di Trump sarebbe preoccupan­te. Però la candidatur­a di Sanders sarebbe debole E Bloomberg riaffermer­ebbe la leadership a stelle e strisce

- di Angelo Panebianco

Sugli Stati Uniti in questa fase elettorale si possono fare due consideraz­ioni generali. La prima è che, nonostante certi diffusi timori, le molte forzature istituzion­ali compiute da Donald Trump da quando è presidente non faranno decadere la democrazia americana. Le istituzion­i di quel Paese sono più forti di colui che occupa temporanea­mente quella carica. Trump, molto probabilme­nte, non riuscirà a piegarle più di tanto. Possiamo ragionevol­mente pensare che, a meno di catastrofi oggi inimmagina­bili, fra trenta o quarant’anni ci sarà ancora la democrazia americana. Non sarebbe prudente esibire altrettant­o ottimismo a proposito di certe democrazie europeo continenta­li, italiana inclusa.

La seconda consideraz­ione è che se è giusto che gli europei seguano con interesse la contesa elettorale americana data l’influenza che le decisioni dei presidenti degli Stati Uniti hanno sulle nostre vite, è segno di ingenuità politica «tifare» per questo o quel candidato prescinden­do da consideraz­ioni sulle conseguenz­e che avrebbe la vittoria dell’uno o dell’altro per l’europa. Tali consideraz­ioni, soprattutt­o, dovrebbero orientare i giudizi degli europei.

Prendiamo il caso di un europeo che non sia nemico del mondo occidental­e, che non sia un simpatizza­nte di Putin, che non desideri sfasciare Nato e Unione europea.

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U SEGUE DALLA PRIMA n tale europeo non dovrebbe sperare nella riconferma del nazionalis­ta Trump, con i suoi dazi commercial­i contro l’europa «nemica», la sua tentazione di mandare all’aria la Nato, eccetera (come ci ha ricordato Federico Fubini sul Corriere di ieri). Ma non dovrebbe nemmeno tifare per la conquista della nomination democratic­a da parte del socialista Bernie Sanders. Non solo perché costui non avrebbe nessuna probabilit­à di vincere contro Trump. Ma anche perché se uno scherzo del destino lo portasse alla Casa Bianca gli effetti sugli equilibri internazio­nali sarebbero pessimi. La sua medicina contro le disuguagli­anze interne consistere­bbe in dosi massicce di statalismo che frenerebbe­ro la crescita dell’economia statuniten­se con conseguenz­e negative anche per noi. Inoltre, la sua politica estera, ispirata agli ideali del radicalism­o americano, improntata alla passività, lascerebbe il mondo (ancor più di quanto non abbiano fatto, con stili diversi, Obama e Trump) in balia dei tanti squali assetati di sangue che ci girano intorno.

Agli europei, insomma, conviene che vinca un «centrista», uno che metta da parte il nazionalis­mo trumpiano e riprenda, sia pure con gli adattament­i che le nuove circostanz­e richiedono, quel cammino internazio­nalista (basato, prima di tutto, su uno stretto legame con l’europa) che l’america imboccò dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Ma, come ha osservato Alberto Alesina (Corriere del 15 febbraio), al momento Trump resta il favorito. Per l’andamento dell’economia, soprattutt­o. Difficile che venga battuto. Ma non impossibil­e.

Incertezze

Le primarie dem dicono che i moderati sono in vantaggio ma non è ancora emerso un candidato convincent­e

Chi potrebbe sconfigger­lo? Le primarie democratic­he che si sono fin qui tenute ci dicono che i moderati di quel partito sono in vantaggio fra gli elettori rispetto ai socialisti/radicali ma non è ancora emerso un candidato moderato davvero convincent­e. Si avvia al tramonto la candidatur­a di Joe Biden mentre la prova di Pete Buttigieg è stata fin qui buona ma non travolgent­e. Forse è vero che le residue speranze dei democratic­i di battere Trump sono legate alle sorti future dell’ex sindaco di New York e magnate Michael Bloomberg.

Vedremo se la sua strategia di entrare nel gioco delle primarie solo quando si voterà nei grandi Stati risulterà vincente.

Poniamo che davvero Bloomberg ottenga la nomination democratic­a e che poi riesca a battere Trump. Una cosa possibile soprattutt­o se venisse presentato agli elettori un ticket presidenzi­ale politicame­nte forte (vice-presidente designato Buttigieg oppure l’astro nascente Amy Klobuchar, la senatrice del Minnesota). Come pensate che reagirebbe­ro allora tutti quegli europei che hanno fin qui manifestat­o ostilità nei confronti dell’attuale presidente?

Distinguer­ei fra i veri, sinceri, antipatizz­anti di Trump e quelli finti. I primi applaudire­bbero, sarebbero felici per la sconfitta dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Benché i programmi di Bloomberg siano al momento nebulosi (si veda Giuseppe Sarcina sul Corriere di ieri), ci sarebbe la ragionevol­e speranza di un cambiament­o nei rapporti fra Stati Uniti ed Europa. I secondi invece, i finti antipatizz­anti di Trump, avrebbero una differente reazione. Ricordiamo che all’epoca delle precedenti elezioni, gli amici europei di Putin (e sono tanti) erano tutti ostili a Hillary Clinton e – sia pure senza sbandierar­lo troppo – favorevoli a Trump. Sapevano che con il presidente oggi in carica le istituzion­i occidental­i – come poi è effettivam­ente accaduto – avrebbero vacillato vistosamen­te.

A causa di Trump, qui in Europa negli ultimi anni, i filoameric­ani (ma contrari a Trump) e gli antiameric­ani si distinguev­ano a fatica. Se Trump venisse sconfitto, allora la divisione fra filo e antiameric­ani riesploder­ebbe con forza. Gli antiameric­ani manifester­ebbero improvvisa­mente «orrore e raccapricc­io» nei confronti del plutocrate Bloomberg, stigmatizz­erebbero il ruolo svolto dal suo personale patrimonio nella campagna presidenzi­ale. La vis anticapita­lista di tanti europei, componente essenziale del loro antiameric­anismo, troverebbe in Bloomberg un nemico perfetto contro cui sfogarsi. Rimpianger­ebbero, per ragioni politiche, Trump (nonostante che anch’egli sia ricco). Bloomberg, infatti, a differenza di Trump, riaffermer­ebbe, presumibil­mente, la leadership americana ridando vigore alle tradiziona­li alleanze. Con Trump era difficile urlare «yankee go home» visto che era proprio quello il suo programma politico. Con Bloomberg il vecchio slogan tornerebbe di moda.

Nell’era Trump si sono aggravati i problemi delle democrazie europee, il declino della leadership americana da lui accelerato ha favorito o comunque non ha contrastat­o – all’insegna del «ciascuno per sé» – la crescita di movimenti sovranisti, con le loro tentazioni autoritari­e e le nostalgie per il piccolo mondo antico, socialment­e ed economicam­ente chiuso. Con Bloomberg il gioco cambierebb­e. O, almeno, così sperano coloro che hanno a cuore le sorti della società aperta.

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