Corriere della Sera

Amico fragile

- di Massimo Gramellini

Dalla sua Lorenzo Seminatore aveva la giovinezza, la bellezza, l’intelligen­za e l’amore di una ragazza e di due genitori. Ma aveva anche cinquanta chili per un metro e novanta di statura, e con la maggiore età aveva acquisito il diritto di rifiutare il cibo e le cure. Lo ha esercitato fino alla fine.

Non esistevano ragioni tangibili che giustifica­ssero il suo desiderio di non desiderars­i più. Lorenzo possedeva tutte quelle cose la cui mancanza procura sofferenza agli altri. Eppure soffriva, in mezzo allo stupore e ai pregiudizi di tanti, perché si fa ancora fatica ad ammettere che tra gli attributi di un maschio possa esservi la fragilità. I maschi dovrebbero essere sempre solidi, e le mamme sempre felici. Per questo io non accettavo la fragilità della mia. Da piccolo avevo preso il suo rifiuto della vita come una mia sconfitta personale e da adulto come uno smacco per la società. Lo stesso sta accadendo adesso ai genitori di Lorenzo. Chi assiste da vicino a questi vuoti d’aria dell’esistenza pensa, a ragione, che sarebbe stato possibile fare di più. Ma la verità è che quando si è dominati dall’istinto di sopravvive­nza riesce difficile concepire che in qualcun altro — qualcuno che amiamo e che ci ama — sia più forte l’impulso di dissolvenz­a. Un impulso talmente irresistib­ile da indurlo a evaporare in una nuvola rossa, come nella canzone di De Andrè, «in una delle molte feritoie della notte, con un bisogno di attenzione e di amore». O forse soltanto di pace.

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