La battaglia di Dolce&gabbana «Noi in campo per trovare una cura»
Donazione a Humanitas, San Raffaele e Spallanzani: al fianco dei ricercatori
L’Italia scende in campo per combattere contro il coronavirus. Lo fa grazie all’unione di competenze degli atenei milanesi Humanitas e Vitasalute San Raffaele, che condurranno uno studio a cui collabora l’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma. La ricerca è finanziata da un’importante donazione di Dolce&gabbana. Da una parte c’è il bagaglio di conoscenze di Humanitas, di Alberto Mantovani e di Cecilia Garlanda relative al sistema immunitario, dall’altra i 30 anni di esperienza coi virus del team del San Raffaele, con Elisa Vicenzi e Massimo Clementi. Da Roma arriverà il contributo chiave dello Spallanzani, dove il coronavirus è stato «isolato» e messo a disposizione della comunità scientifica. I ricercatori potranno contare sul sostegno economico della casa di moda.
«Già da tempo collaboriamo con l’humanitas — raccontano gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, che aiutano attraverso borse di studio gli iscritti al corso Medtec School dell’università in partnership con il Politecnico di Milano —. Abbiamo sentito il dovere di fare qualcosa per fermare questo virus devastante che, a partire dalla Cina, sta colpendo l’umanità intera». E per loro è stato spontaneo rivolgersi al professor Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente emerito dell’ateneo collegato. «Non abbiamo competenze in campo scientifico, noi facciamo solo vestiti — continuano —. Ma abbiamo l’opportunità di finanziare e sostenere la ricerca, che è fondamentale. Vogliamo far sentire ai ricercatori che non sono soli».
Ricordano anche una favola africana, raccontata da Mantovani, che li ha spinti a mettersi in gioco. «Narra di un colibrì che, mentre tutti gli animali fuggono a causa di un incendio nella foresta, vola nella direzione opposta continuando a portare acqua per spegnere il fuoco. Così abbiamo capito che valeva la pena di fare qualcosa». Un gesto per ribadire la vicinanza alla Cina, da dove sono partiti i contagi. «Un Paese per cui proviamo ammirazione, in passato c’è stato un problema di incomprensione ingigantito da Internet (legato a uno spot, ndr), ma siamo sempre stati vicini ai cinesi».
È la virologa Elisa Vicenzi a spiegare i dettagli dello studio che mette in rete due istituzioni milanesi e una romana. «Vogliamo capire se alcune molecole, quelle dell’immunità innata, inibiscono l’entrata del coronavirus Sarscov-2 nelle cellule e se hanno un ruolo successivamente». Ovvero si tratta di approfondire come questo meccanismo di difesa naturale possa essere un alleato per sconfiggere la pandemia. Non è la prima battaglia contro i virus per Vicenzi. «Ho iniziato con l’hiv. Nel 2003 con Clementi abbiamo avuto l’occasione di isolare il virus della Sars da un paziente di ritorno dal Vietnam». Un’esperienza preziosa in questa nuova sfida. «Abbiamo tanti dati nel cassetto che torneranno utili. L’ipotesi è che il nuovo virus sia simile alla Sars, appartengono alla stessa famiglia». Se nel 2003 l’epidemia era stata fermata con l’isolamento dei pazienti e la quarantena, ora è più difficile, «perché diversamente dalla Sars, solo il 20% dei malati sviluppa sintomi gravi che permettono di riconoscere subito il contagio. E così la trasmissione può avvenire più facilmente».
La tecnologia fa la differenza. «Ora si parla di tre mesi per arrivare a un candidato vaccino, nel 2003 ce ne vollero 20». La collaborazione tra gli enti sarà preziosa. «Al San Raffaele lavoreremo in un laboratorio ad alto contenimento, dovremo chiedere le autorizzazioni all’ats (ex Asl, ndr) di Milano. L’humanitas ha selezionato le molecole dell’immunità innata. Lo Spallanzani ci fornirà il virus vivo». Il contributo di D&G, che in caso di esiti positivi potrebbe aumentare, supporterà la ricerca in un settore in cui «i fondi sono altalenanti, a seconda delle pandemie. Invece dobbiamo essere attenti e lavorare anche in tempo di pace, per prepararci in caso di emergenze».