«L’anoressia sui maschi è più insidiosa Le famiglie? Non sono mai colpevoli»
Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista: è una malattia come il tumore, non sempre si guarisce
«Igiovani con anoressia non sono mosche bianche. Sebbene meno numerosi delle ragazze, hanno caratteristiche differenti e una maggiore complessità. Dovremmo occuparcene non soltanto quando vengono denunciate storie come queste».
Lancia una pietra nello stagno Stefano Erzegovesi, primario del Centro per i disturbi alimentari dell’istituto San Raffaele di Milano. Storie «come queste» sono fotocopiate su Lorenzo, ucciso dalla malattia che affama mente e corpo, fino a distruggerli. I suoi genitori hanno denunciato la mancanza di aiuto della sanità pubblica, di sostegno alle famiglie, di accompagnamento anche da parte della scuola. Vogliono che Lorenzo non se ne sia andato invano.
Hanno ragione?
«Sì, i servizi specialistici offerti dal servizio sanitario pubblico sono pochi e sa perché? Costano tanto e sono in perdita economica. Fa male dirlo ma è così. I disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia i principali) richiedono un impegno notevole di operatori e organizzazione. Servono équipe multidisciplinari con medico, nutrizionista e psicologo oltre a diversi percorsi: day hospital, posti letto per ricoveri di lunga durata, ambulatori. È un intervento molto impegnativo e “poco redditizio”».
Il 15 marzo è la Giornata del fiocchetto lilla per sensibilizzare sui disturbi alimentari. Cosa denunciare?
«Servono investimenti tenendo conto che le cure durano anni, da 3 a 5 per l’anoressia, da 1 a 3 per la bulimia. Ci vuole un progetto di largo respiro, concetto evidentemente poco congeniale ai nostri politici».
Come intercettare questi disturbi?
«Il campanello deve scattare quando osserviamo un cambiamento di abitudini alimentare persistente. Una dieta sempre più stringente, la ritrosia nel sedersi a tavola, fissazione sul peso, sbalzi d’umore concomitanti al digiuno. Non illudetevi che possa trattarsi di una fase passeggera. I disturbi alimentari tendono a permanere. Se avete il sospetto rivolgetevi a centri specializzati, ce n’è un elenco su www.disturbialimentarionline.gov.it, sito del ministero della Salute. Non cercate figure poco esperte».
C’è chi invoca lo strumento dei trattamenti sanitari obbligatori, previsti per i disturbi psichiatrici. Costringere i pazienti che rifiutano le cure ad accettarle con un ricovero coatto. Che ne pensa?
«Questo strumento non è stato creato per i disturbi alimentari ma per quelli psichiatrici con fasi acute, come schizofrenia e bipolarismo. Un paziente dei nostri, ritrovandosi in cattività, svilupperebbe rabbia ancora maggiore. È vero anche che con i mezzi oggi a nostra disposizione non possiamo seguire tutti e molti rischiano l’abbandono. Parliamo di giovani che se non avessero questa malattia sarebbero sani e invece rischiano la morte. Ecco perché è urgente pianificare investimenti duraturi almeno
per i casi più gravi cui assicurare cure di anni. I disturbi alimentari sono come i tumori, richiedono cure ad altissima intensità e non sempre c’è la guarigione».
Qual è l’origine?
«Le cause sono distribuite su più livelli. Predisposizione genetica, temperamento, sfera emozionale, influenza della società che da una parte esalta il modello della magrezza come vincente e dall’altra permette facile accesso al cibo spazzatura. Le vittime della malattia sono ragazzi perfezionisti, ossessionati dai risultati e dal giudizio degli altri, scrupolosi fin da bambini, condizionati dalle prese in giro dei compagni sull’aspetto fisico. La famiglia? Non colpevole. Anzi, è una risorsa essenziale per il successo delle cure».
I casi che riguardano i maschi sono più complessi?
«Nelle donne l’anoressia è quasi sempre correlata a un momento fisiologico, il corpo che cambia con la pubertà. Nel maschio si aggiungono problematiche psicopatologiche ad esempio depressione, disturbi ossessivo-compulsivi o di personalità. I sintomi di esordio sono unisex».