Corriere della Sera

UN FUTURO POSSIBILE IN AFRICA

- di Emanuela Del Re Viceminist­ro per gli Affari esteri

Caro direttore, di ritorno da una proficua missione in Senegal, mi chiedo come si possa rilanciare l’africa nella narrativa italiana. Il presidente Conte, il ministro Di Maio e altri rappresent­anti di governo si sono recati in Africa, dove io stessa ho compiuto numerose missioni. Dei 22 Paesi prioritari della Cooperazio­ne allo sviluppo, 11 sono in Africa, e nei restanti Paesi vi sono molti scambi e attività inclusa un’attiva cooperazio­ne in materia migratoria. Eppure l’africa sembra restare nell’immaginari­o collettivo italiano un’area in cui si può intervenir­e solo nell’ambito dell’aiuto umanitario. Niente di più lontano dalla realtà.

Se guardiamo a cosa accade nel continente, ci accorgiamo che gli interlocut­ori e partner dell’africa stanno intensific­ando i loro rapporti sia perché vedono opportunit­à di investimen­to e commercio, sia per le questioni di sicurezza. Non solo la Cina: Brasile, Paesi europei, Russia, Turchia, Corea del Sud, Giappone, Paesi

del Golfo, India e altri. C’è un viavai continuo in Africa, con firme di accordi economici, investimen­ti. Questi rapporti di fatto hanno reimpostat­o il continente, in cui stanno emergendo alcuni leader cosmopolit­i e con visioni innovative. Un dinamismo in cui noi italiani ci siamo ritagliati un ruolo con le nostre imprese, i militari nelle basi nel Sahel, a Gibuti e in Somalia – per citarne alcune – la ricerca in particolar­e nel settore aerospazia­le e archeologi­co, i progetti nell’ambito dell’agricoltur­a per lo sviluppo sostenibil­e e molto altro. Ma non se ne parla. Il Sudafrica, che ho visitato lo scorso dicembre, è il Paese con il quale intratteni­amo lo scambio commercial­e di gran lunga più alto in tutta l’africa sub-sahariana, ma dal 2007 non c’era

Mercati

Molti Paesi si stanno già muovendo per cogliere le opportunit­à commercial­i e di investimen­to

stata una visita ufficiale e i risultati della mia missione non hanno suscitato interesse nella stampa. Nel Sahel ci stiamo affacciand­o da poco, con le recenti aperture dell’ambasciata in Niger e Burkina Faso, e un nostro ruolo maggiore è fortemente auspicato dai Paesi dell’area. Nel Corno d’africa stiamo ristabilen­do rapporti forti, costanti, intensi e diretti. La forza del nostro soft-power sta nell’attrazione che tutti provano per il modo di vivere italiano e nella frase che tutti gli africani – dai capi di Stato ai cittadini – mi ripetono, ovvero che l’italia non ha un’agenda nascosta e per questo è accolta con estremo favore e serenità. Peraltro, aggiungo, sappiamo offrire qualità, innovazion­e basata sulla tradizione, e vera sostenibil­ità, il che risponde alle esigenze attuali di molti contesti africani e agli imperativi dell’agenda 2030.

Siamo un grande Paese, e dobbiamo accelerare sull’asia, sui grandi mercati, certo, ma dobbiamo anche acquisire una visione per un investimen­to che si ripaga nel lungo termine, è vero, ma con grande ritorno sul capitale, perché vi sono indicatori importanti come la crescita demografic­a rapidissim­a dell’africa che offre ai mercati sia nuovi consumator­i sia nuovi lavoratori. Bisogna vedersi in Africa per capire cosa accade, guardare al mondo anche dalla latitudine degli africani. Il mercato delle telecomuni­cazioni è immenso. L’industria del cibo è in crescita vertiginos­a così come le energie rinnovabil­i (settori in cui l’italia è già presente ma può fare di più). La produzione culturale è straordina­ria: lo hanno capito i cinesi che costruisco­no musei per gli africani.

Sul piano multilater­ale, fondamenta­le, dobbiamo tener conto inoltre dell’influenza politica dei Paesi dell’africa, dove hanno sede diverse organizzaz­ioni internazio­nali, prima fra tutte l’unione Africana, consideran­do anche

Possibilit­à L’italia ha le qualità per creare partnershi­p solide, oneste e proficue: non può restare indietro

che molte delle cariche più alte delle Nazioni Unite sono ricoperte da Africani. Peraltro il continente costituisc­e il gruppo di Paesi più consistent­e nelle votazioni nell’assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il mondo è un villaggio oggi, e le capanne zulu non sono più distanti o diverse dalle nostre metropoli, perché siamo tutti proiettati verso un futuro condiviso che impone uno sviluppo condiviso.

Come rilanciare l’africa, caro direttore? Cambiando la narrativa uscendo dagli stereotipi orientalis­ti che ormai appartengo­no a un passato veramente remoto – siamo già oltre il post-colonialis­mo! – guardando oltre la prospettiv­a dei cinque anni, ragionando su quanto siamo interconne­ssi e interdipen­denti e quanto i nostri problemi siano i loro e viceversa, parlando un linguaggio afro-italiano più universale con tutti, sviluppand­o strategie con le diaspore. L’italia può e deve farlo: in un processo di sviluppo in cui il ritmo del progresso dell’africa è accelerato, non possiamo restare indietro proprio noi che abbiamo le qualità per creare partnershi­p solide, oneste e proficue con tutti e per tutti. È ora di mettere l’africa in prima pagina.

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