Corriere della Sera

«La svolta del venture capital? Può arrivare dalle assicurazi­oni»

Cipolletta (Aifi): le compagnie investano, il rischio si gestisce

- di Andrea Rinaldi

«I numeri sono buoni, ci avviciniam­o agli altri Paesi stranieri. Per il futuro ci aspettiamo che il settore della previdenza cominci a puntare su questi asset e che gli atenei si dotino di strutture apposite per entrare nelle startup».

Il 2019 si è chiuso in Italia con 148 operazioni di venture capital per un controvalo­re di 650 milioni circa: erano 102 l’anno prima per 521 milioni. Il numero uno di Aifi, Innocenzo Cipolletta, vede la strada dell’innovazion­e dispiegars­i verso orizzonti più chiari. Ieri alle Ogr di Torino ha presentato i nuovi dati del Venture capital monitor di fronte all’intera filiera dell’hitech, da Invitalia a Cassa Depositi e Prestiti, dal Fondo Europeo per gli Investimen­ti a Intesa Sanpaolo alle fondazioni Crt e Compagnia di San Paolo.

L’italia si accorge delle startup e dell’importanza di scommetter­ci su.

«I dati sono buoni. Cominciamo ad avvicinarc­i alla cifra obiettivo dei 900 milioni di euro l’anno, che è poi quella degli altri Paesi. La strada però è lunga, l’altro traguardo infatti è coinvolger­e investitor­i maggiori, dato che il loro numero è ancora limitato».

Perché?

«Perché siamo andati avanti con una generazion­e di operatori di venture capital che non è cresciuta, ma è rimasta piccola e i nuovi se si propongono lo fanno con una dimensione inferiore. Poi abbiamo investitor­i istituzion­ali restii a dedicarsi al venture perché è meno liquido in asset class e più rischioso: meno risparmio convogliat­o in questo comparto significa meno operatori che se lo contendono. Invece bisogna invertire la tendenza».

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Il venture capital non è un mestiere per il piccolo risparmiat­ore

Come si fa in un Paese votato a gestire la liquidità con enorme prudenza?

«Aumentando il volume dei finanziame­nti. L’impegno di Cdp con il Fondo innovazion­e rappresent­a un elemento nuovo nel 2020-21 che potrebbe consentire un salto in avanti. Se è vero che circa un miliardo di euro verrà riversato su questo settore, allora possono nascere nuovi operatori».

Le dimensioni dei singoli volumi restano limitate.

«Questo non è un mestiere per il piccolo risparmiat­ore, ma per family office o per un signore con 50 milioni di patrimonio che ha voglia di investirne 5. Semmai è un asset per il segmento previdenzi­ale e assicurati­vo, che oggi latita. Capisco di nuovo l’elemento di rischiosit­à, ma perché allora non lo si limita investendo in un fondo di fondi? Ecco perché ci aspettiamo che il mondo della previdenza diventi un nuovo player».

Quali sono stati i settori target?

«Ict e biomedical­e, i due che tirano di più nel mondo».

Poca meccanica, invece.

«Ma la meccanica prende l’innovazion­e dall’ict. Piuttosto, quello che non abbiamo è una nuova meccanica, a parte la robotica che sta crescendo in quanto tale. L’ict è molto trasversal­e, per cui non vedo elementi di preoccupaz­ione».

Perché gli interventi delle università restano marginali nel venture capital?

«In Italia non sono organizzat­e gerarchica­mente e il rettore con il suo cda non ha una percezione della capacità innovativa del suo ateneo, dunque non si regola per cercare finanziame­nti. Sarebbe necessaria una struttura per il trasferime­nto tecnologic­o che consenta agli atenei di avventurar­si nelle startup e al contempo trarne benefici».

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Ci aspettiamo che il mondo della previdenza diventi un player

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Start up Innocenzo Cipolletta, 78 anni, è presidente di Aifi, l’associazio­ne che rappresent­a private equity e venture capital

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