E la politica si autosospende
All’ombra di Renzi si consuma una battaglia nel Pd
Anche la politica va in quarantena. Non c’è più spazio per tattiche e manovre, per ripicche e rivendicazioni. Nella maggioranza non c’è tempo per pensare al vertice tra Conte e Renzi, se sui cellulari dei ministri e dei leader di partito si accumulano dispacci di prefettura confusi a messaggi personali che giungono dall’epicentro della crisi sanitaria. È mattino quando il capo di Iv ascolta la voce tremante registrata su Whatsapp da una sua dirigente lombarda, amica dell’uomo che giace grave in ospedale. E comprende che «davanti all’emergenza nazionale è opportuno fermarsi». Il Paese non potrebbe tollerare che nel Palazzo proseguisse la messinscena.
Finora il canovaccio aveva proposto un miscuglio di finti ultimatum e disinformazione, con Renzi a dire «rompo» pur sapendo che così romperebbe i suoi gruppi, e Conte a evocare i «responsabili» pur sapendo che semmai disponesse dell’arma, gli esploderebbe in mano nel giro di tre mesi. Così l’incontro tra i contendenti programmato per la prossima settimana era (e resta) lo strumento utile a fermare l’escalation. E non a caso ieri — mentre il ministro dem Provenzano provava a provocare il suo ex segretario — il titolare dei Rapporti con il Parlamento D’incà lanciava segnali distensivi e dialoganti verso l’alleato.
La differenza di vedute tra i rappresentanti del governo è la manifestazione di due diverse strategie. In una parte del Pd, tendenza «ditta», è in voga infatti una linea che mira a mettere nell’angolo Renzi per chiudere definitivamente i conti con lui. Ma è un’operazione osteggiata da Franceschini, che osserva da tempo certe sortite di personalità vicine a Zingaretti. L’idea di costruire attorno al partito una coalizione con la «lista Conte», ciò che resta dei 5 Stelle e la sinistra post-scissionista, gli ricorda «certi vecchi schemi del passato», cioè la stagione della «Quercia e i suoi cespugli», che finirebbe oggi per penalizzare l’area cattolica e riformista dem. Un esito che fa venire i brividi a Guerini, deciso a «vigilare» e già poco convinto di certe scelte «dirigiste» operate nel dipartimento economico del Pd.
Lo scontro silenzioso tra i democrat pesa sull’opera di mediazione di un’altra parte del governo, grillini compresi. Quando il ministro Spadafora
spiega pubblicamente che «non saremo noi a invitare Renzi a uscire», anticipa la linea di condotta che si terrà a Palazzo Chigi durante il vertice, «perché l'agenda dell’incontro è chiara»: da un lato il nodo della legge elettorale con la soglia di sbarramento da abbassare per Iv, dall’altro quello delle nomine. Due temi da cui passa quel «riconoscimento politico» che solo Conte può dare a Renzi, «e che invece — sottolinea un ministro grillino — un pezzo del Pd non concederebbe».
E se sulle nomine è solo una questione di nomi, sulla legge elettorale si apre una partita completamente diversa: perché il progetto della «Quercia più cespugli» che piace a una parte di Pd presupporrebbe un sistema di voto con elementi di maggioritario, non il proporzionale su cui la maggioranza ha trovato l’accordo. La sensazione — ricavata anche da autorevoli esponenti 5 Stelle — è che all’ombra di Renzi e delle sue numerose giravolte si stia consumando «una resa dei conti» nel Pd sull’egemonia all’interno del partito. Paradossalmente quindi, il vertice
Prima del referendum Franceschini chiede il rispetto del patto di maggioranza sulla riforma elettorale
servirebbe agli «acerrimi rivali» per cautelarsi.
Diventa allora chiaro il motivo per cui Conte pensi di andare in Parlamento per il «chiarimento» non prima del 4 marzo. E si capisce anche come mai Franceschini prema perché venga rispettato il patto sottoscritto dalla maggioranza sulla nuova legge elettorale: secondo questo patto è previsto un passaggio alle Camere del testo proporzionale «prima del referendum sul taglio dei parlamentari» in programma il 29 marzo. Ecco qual è la sfida nell’alleanza giallorossa, e per dirla con il ministro Bellanova «bisogna trovare un modo per uscire dall’impasse». Anche perché l’emergenza sanitaria ha la priorità. I rappresentanti di governo ieri si scambiavano messaggi sul «panico della gente» e sull’«impatto economico che sarà devastante». Non è tempo di conflitti, «non lo sarà per molto tempo», sussurra D’incà: «È ora di tenere tutti i piedi per terra».