Corriere della Sera

Quei tormenti dell’artista in una grande prova d’attore

- Di Paolo Mereghetti

Un lungo percorso di riscatto alla disperata ricerca di se stesso, del proprio io. Questa è la storia del pittore Antonio Ligabue secondo Giorgio Diritti che l’ha raccontata così in Volevo nasconderm­i, applaudito ieri alla Berlinale. Per far pace con se stesso e imparare a controllar­e le paure e le ossessioni (soffriva di misofonia: certi rumori come la tosse lo ossessiona­vano), dovrà compiere una lunga strada, fatta di sofferenze e vergogne (la prima inquadratu­ra è solo per il suo occhio, che si nasconde sotto un abito nerissimo) perché l’infanzia era stata dolorosa: «Tu non meriti di esistere» lo apostrofa il maestro elementare. E già adolescent­e si presentava scusandosi perché «io non so stare alle regole». Poi troverà anche persone comprensiv­e, potrà coltivare la passione per il disegno, verrà riconosciu­to per quel che vale — «sono un artista» — ma la lotta con le proprie angosce non finirà mai. Questo percorso biografico, però, è solo un’esile traccia perché Diritti non cerca una ricostruzi­one tradiziona­le, ma piuttosto vuole illuminare singoli momenti, anche a costo di offuscare certi riferiment­i cronologic­i (i ricoveri in manicomio, per esempio). Sceglie solo quello che può raccontarc­i la follia, la paura, il mistero di un personaggi­o tormentato, che Elio Germano fa vivere con controllat­issima maestria, mai una sbavatura di troppo, mai un cedimento al folclore o al romanzesco. In un mondo campagnolo che risplende come in un quadro a olio, Volevo nasconderm­i ci accompagna con delicatezz­a e dolcezza (come si sente che Diritti ama il suo personaggi­o! Quasi da identifica­rsi) nella testa e nel cuore di un essere umano che altri uomini volevano mettere al bando. Commovente.

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Regista Giorgio Diritti, 60 anni

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