L’illusione del controllo
Emergenze La scienza e la medicina dovrebbero imparare a essere più umili e meno saccenti e spocchiose, a spiegare bene, a informare, a dare indicazioni credibili
Non esiste una sola paura. Ma esiste la paura degli antichi e quella dei moderni. Da una parte la paura che viene dal passato.
La paura che emana da una società immersa nell’ignoranza, il panico dell’ignoto, la paura dell’impotenza e della rassegnazione di fronte all’offensiva del male di fronte al quale inchinarsi e subire, della malattia, della natura indomabile. Dall’altra la paura moderna che nasce in una società dedita al controllo, all’impegno scientifico e razionale per debellare il male, la paura dei rimedi che falliscono e della rabbia per i rimedi ancora insufficienti, della natura non ancora domata. È questa la paura moderna, quella nostra, la paura dell’onnipotenza che si scopre impotente, dell’onnipotenza frustrata, della scienza che si immaginava potesse risolvere tutto e viene sfidata dall’imprevedibile di un virus spavaldo e minaccioso. È la paura dell’impero che smette di dominare il mondo e si sente invaso, colonizzato, sottomesso da un virus che viene da lontano, da lontanissimo.
Su queste pagine Antonio Scurati notava che la nostra società, la più prospera della storia, è anche la società più impaurita. È vero, ma è la prosperità stessa che genera nuove paure. Un paio di secoli fa Alexis de Tocqueville notava che la Rivoluzione francese non fosse nata da una società depressa, miserabile, prigioniera di una povertà assoluta, ma al termine di un periodo di prosperità e benessere della società francese: «a mano a mano che si sviluppa la prosperità, gli spiriti sembrano più inquieti, il malcontento pubblico si inasprisce». La prosperità, ossia la modernità della scienza e della razionalità, abitua gli spiriti inquieti a non rassegnarsi. Un tempo morivano tanti bambini per malattie che oggi sarebbero curabilissime, ma la morte dei bambini, che oggi giustamente consideriamo la più atroce e inaccettabile delle ingiustizie, veniva accettata con rassegnazione: è cambiato tutto e fa paura una medicina che non sappia impedire la morte dei bambini. La paura nasce da una nuova sensibilità. Se si dice che tutto è curabile, si finisce per ritenere oltraggiosa la malattia incurabile. Basta dare un’occhiata ai blog e ai siti dove parlano i parenti di chi muore di tumore, e purtroppo mi è capitato mio malgrado di frequentarli: un concentrato di furore complottista da parte di gente che non può nemmeno credere che la medicina «ufficiale» non abbia ancora trovato un rimedio definitivo contro il cancro. Si dà la caccia all’untore, ma i nuovi untori del tumore sarebbero in questo inferno di emozioni rabbiose le case farmaceutiche, i camici bianchi di tutto il mondo uniti in una gigantesca cospirazione per imporre la chemio invece dei farmaci che ci vogliono tenere nascosti.
Nella società dell’abbondanza e delle calorie in eccesso nascono paure impossibili nella vecchia società della fame e della scarsità. Sospettiamo di tutto, guardiamo le etichette dei cibi dei supermercato con il terrore di ingurgitare cose pericolose. Non facciamo che compulsare i bollettini meteo per paura di cataclismi che potrebbero travolgere la tranquillità confortevole delle nostre esistenze: prima non esisteva neanche l’immaginazione di un’esistenza tranquilla e riparata, nemmeno nelle classi privilegiate. La democrazia demoa cura di Alessandra Muglia cratizza le paure. La febbre puerperale decimava le partorienti, oggi nessuno si recherebbe in un reparto di ostetricia se i medici, a quasi due secoli di distanza dalle scoperte del dottor Semmelweis, non indossassero i guanti disinfettati. Le centrali nucleari sono sicure al novantanove per cento, ma è bastata l’altro un per cento, la catastrofe di Cernobyl per distruggere per sempre la fiducia nel nucleare e per scatenare paure che prima non esistevano. La paura moderna è la paura di una promessa mantenuta. E allora non ci si fida più di nessuno. La violenta diffidenza, così satura di paura, nei confronti della scienza «ufficiale» è il segnale più appariscente di questa sfiducia verso chi non è stato all’altezza delle aspettative. E la società delle «aspettative crescenti», come la chiama la sociologia, crea anche una rabbia crescente, una paura crescente, se queste aspettative vengono deluse. Sentiamo che nessuno ci proteggerà più, in una società che ha investito la scienza della missione di proteggerci dalla malattia, dalla sofferenza, persino dalla morte. Se la scienza non ci protegge da un virus, che fiducia possiamo avere per un sapere che si mostra inadeguato. Per questo, per fronteggiare meglio i pericoli di un virus non domato, dobbiamo avere paura delle nuove paure, riconoscendo la loro novità per sconfiggerle meglio. E la scienza e la medicina dovrebbero imparare a essere più umili e meno saccenti e spocchiose, a spiegare bene, a informare, a dare indicazioni credibili. Anche per onorare quei medici e quegli infermieri che non si risparmiano e non risparmiano, come l’ammirevole medico cinese Peng Yinhua, nemmeno la loro vita.