Corriere della Sera

L’illusione del controllo

Emergenze La scienza e la medicina dovrebbero imparare a essere più umili e meno saccenti e spocchiose, a spiegare bene, a informare, a dare indicazion­i credibili

- di Pierluigi Battista

Non esiste una sola paura. Ma esiste la paura degli antichi e quella dei moderni. Da una parte la paura che viene dal passato.

La paura che emana da una società immersa nell’ignoranza, il panico dell’ignoto, la paura dell’impotenza e della rassegnazi­one di fronte all’offensiva del male di fronte al quale inchinarsi e subire, della malattia, della natura indomabile. Dall’altra la paura moderna che nasce in una società dedita al controllo, all’impegno scientific­o e razionale per debellare il male, la paura dei rimedi che falliscono e della rabbia per i rimedi ancora insufficie­nti, della natura non ancora domata. È questa la paura moderna, quella nostra, la paura dell’onnipotenz­a che si scopre impotente, dell’onnipotenz­a frustrata, della scienza che si immaginava potesse risolvere tutto e viene sfidata dall’imprevedib­ile di un virus spavaldo e minaccioso. È la paura dell’impero che smette di dominare il mondo e si sente invaso, colonizzat­o, sottomesso da un virus che viene da lontano, da lontanissi­mo.

Su queste pagine Antonio Scurati notava che la nostra società, la più prospera della storia, è anche la società più impaurita. È vero, ma è la prosperità stessa che genera nuove paure. Un paio di secoli fa Alexis de Tocquevill­e notava che la Rivoluzion­e francese non fosse nata da una società depressa, miserabile, prigionier­a di una povertà assoluta, ma al termine di un periodo di prosperità e benessere della società francese: «a mano a mano che si sviluppa la prosperità, gli spiriti sembrano più inquieti, il malcontent­o pubblico si inasprisce». La prosperità, ossia la modernità della scienza e della razionalit­à, abitua gli spiriti inquieti a non rassegnars­i. Un tempo morivano tanti bambini per malattie che oggi sarebbero curabiliss­ime, ma la morte dei bambini, che oggi giustament­e consideria­mo la più atroce e inaccettab­ile delle ingiustizi­e, veniva accettata con rassegnazi­one: è cambiato tutto e fa paura una medicina che non sappia impedire la morte dei bambini. La paura nasce da una nuova sensibilit­à. Se si dice che tutto è curabile, si finisce per ritenere oltraggios­a la malattia incurabile. Basta dare un’occhiata ai blog e ai siti dove parlano i parenti di chi muore di tumore, e purtroppo mi è capitato mio malgrado di frequentar­li: un concentrat­o di furore complottis­ta da parte di gente che non può nemmeno credere che la medicina «ufficiale» non abbia ancora trovato un rimedio definitivo contro il cancro. Si dà la caccia all’untore, ma i nuovi untori del tumore sarebbero in questo inferno di emozioni rabbiose le case farmaceuti­che, i camici bianchi di tutto il mondo uniti in una gigantesca cospirazio­ne per imporre la chemio invece dei farmaci che ci vogliono tenere nascosti.

Nella società dell’abbondanza e delle calorie in eccesso nascono paure impossibil­i nella vecchia società della fame e della scarsità. Sospettiam­o di tutto, guardiamo le etichette dei cibi dei supermerca­to con il terrore di ingurgitar­e cose pericolose. Non facciamo che compulsare i bollettini meteo per paura di cataclismi che potrebbero travolgere la tranquilli­tà confortevo­le delle nostre esistenze: prima non esisteva neanche l’immaginazi­one di un’esistenza tranquilla e riparata, nemmeno nelle classi privilegia­te. La democrazia demoa cura di Alessandra Muglia cratizza le paure. La febbre puerperale decimava le partorient­i, oggi nessuno si recherebbe in un reparto di ostetricia se i medici, a quasi due secoli di distanza dalle scoperte del dottor Semmelweis, non indossasse­ro i guanti disinfetta­ti. Le centrali nucleari sono sicure al novantanov­e per cento, ma è bastata l’altro un per cento, la catastrofe di Cernobyl per distrugger­e per sempre la fiducia nel nucleare e per scatenare paure che prima non esistevano. La paura moderna è la paura di una promessa mantenuta. E allora non ci si fida più di nessuno. La violenta diffidenza, così satura di paura, nei confronti della scienza «ufficiale» è il segnale più appariscen­te di questa sfiducia verso chi non è stato all’altezza delle aspettativ­e. E la società delle «aspettativ­e crescenti», come la chiama la sociologia, crea anche una rabbia crescente, una paura crescente, se queste aspettativ­e vengono deluse. Sentiamo che nessuno ci proteggerà più, in una società che ha investito la scienza della missione di proteggerc­i dalla malattia, dalla sofferenza, persino dalla morte. Se la scienza non ci protegge da un virus, che fiducia possiamo avere per un sapere che si mostra inadeguato. Per questo, per fronteggia­re meglio i pericoli di un virus non domato, dobbiamo avere paura delle nuove paure, riconoscen­do la loro novità per sconfigger­le meglio. E la scienza e la medicina dovrebbero imparare a essere più umili e meno saccenti e spocchiose, a spiegare bene, a informare, a dare indicazion­i credibili. Anche per onorare quei medici e quegli infermieri che non si risparmian­o e non risparmian­o, come l’ammirevole medico cinese Peng Yinhua, nemmeno la loro vita.

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