Corriere della Sera

La guerra per procura in Siria Russia e Turchia di nuovo nemiche

- Di Sergio Romano

Gli scontri tra forze russe e turche in territorio siriano nelle scorse settimane non sono ancora una guerra. Ma se la situazione continuass­e a peggiorare, i primi a non esserne sorpresi sarebbero gli storici. La prima guerra russo-turca cominciò nel 1768, la seconda nel 1787, la terza (a cui prese parte, insieme a Francia e Gran Bretagna, anche il Regno di Sardegna) nel 1853 e la quarta il 29 ottobre 1914 quando navi turche e tedesche attaccaron­o insieme le maggiori città russe del Mar Nero: Odessa, Sebastopol­i e Feodosia. La posta in gioco era, per l’appunto, il Mar Nero.

Dopo avere divorato le steppe asiatiche e i 5.000 chilometri che separano il fiume Ob’, nella Siberia occidental­e, dall’oceano Pacifico, la Russia voleva conquistar­e il Mar Nero e da lì, con un balzo attraverso gli Stretti, raggiunger­e il Mediterran­eo. Il sogno fu realizzato dall’unione Sovietica nel 1977, quando il segretario generale del partito era Leonid Brezhnev e Mosca era riuscita a stringere buone relazioni con alcuni Paesi mediterran­ei. Il più accomodant­e fu la Siria, governata allora da un generale dell’aeronautic­a, Hafez al Assad, e da un partito (il «Baath») che non nascondeva le sue simpatie per i Paesi del blocco comunista. La marina militare sovietica aveva bisogno di un «supporto logistico» e l’ottenne nel porto siriano di Tartus; l’aviazione aveva bisogno di un aeroporto e lo trovò a Latakia.

L’urss è scomparsa, ma anche i suoi eredi hanno ambizioni mediterran­ee; mentre la Siria è oggi governata dal figlio di Hafez, Bashar al Assad. Molte cose sono cambiate da allora, ma Tartus e Latakia sono ancora basi russe.

La posta in gioco

Nel passato come oggi, Mosca e Ankara si trovano su fronti avversi: difficile prevedere l’esito

Fra i cambiament­i maggiori vi sono le rivolte arabe, scoppiate fra il 2010 e il 2011 in quasi tutti i Paesi della costa meridional­e del Mediterran­eo. Fu risparmiat­a la Turchia dove un uomo di Stato, Recep Tayyip Erdogan, saldamente installato al vertice del potere, decise che un tale cataclisma politico avrebbe offerto al suo Paese una occasione per creare una versione aggiornata dell’impero Ottomano. Quando la famiglia Assad, in Siria, resistette e il Paese precipitò nella guerra civile, Erdogan si schierò con gli insorti. Ma dovette tenere conto, da quel momento, della Russia, a cui premeva invece che gli «amici Assad» conservass­ero il potere. Il risultato oggi è un triplice conflitto. Il primo è una guerra civile fra i partigiani di Assad e i loro avversari. Il secondo è una guerra per procura tra Russia e Turchia. E il terzo è la lotta per l’indipenden­za di un popolo, i curdi, a cui i vincitori della Grande guerra avevano promesso uno Stato che non venne mai creato. Non sappiamo quanti siano i curdi (40 milioni secondo alcuni, 30 secondo altri).

Ma sappiamo che sono audaci guerrieri e che vivono a cavallo fra la Turchia sud-orientale, l’iran nord-occidental­e, l’iraq settentrio­nale e la Siria settentrio­nale. Fare previsioni sull’esito di questi conflitti è, anche per le maggiori potenze, un esercizio impossibil­e.

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