Corriere della Sera

I rischi di un’archeologi­a ridotta a show

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«S e si ha l’interesse, o la necessità, di far apparire una qualunque scoperta archeologi­ca come una novità clamorosa, questo significa che clamorosa non è...» Paolo Matthiae è uno dei più autorevoli archeologi non solo italiani ma internazio­nali. A lui si deve una vera storica «scoperta clamorosa»: la antichissi­ma città di Ebla, nella Siria settentrio­nale. Quindi ha l’autorità scientific­a per sorridere sui continui annunci di «ritrovamen­ti sensaziona­li» che piovono da tutto il mondo.

Pochi giorni fa, sul New York Times, rispondend­o alle domande di Franz Lidtz l’autorevoli­ssima classicist­a Winifred Mary Beard dell’università di Cambridge (autrice di prestigios­i saggi come Pompeii: the life of a Roman Town, nominata Dame da Elisabetta II per meriti culturali) ha implacabil­mente bollato come «una notizia falsa al 90%» l’annuncio del ritrovamen­to del cranio di Plinio il Vecchio tra i reperti del Museo storico dell’arte sanitaria a Roma. Il pilota dell’operazione «Cranio di Plinio il Vecchio», Andrea Cionci, parla di «molte coincidenz­e e nessun dato contrario».

Altra, recentissi­ma diatriba, sempre a Roma, su un’altra notizia-scoop: la «scoperta della Tomba di Romolo» nel cuore del Foro Romano, rimbalzata giorni fa con enorme clamore in mezzo mondo: reperti rinvenuti sotto la scala della Curia ricostruit­a negli anni 30 del ‘900 da Alfonso Bartoli. Un altro grande archeologo, Andrea Carandini, ha immediatam­ente (e polemicame­nte) derubricat­o il tutto a «ritrovamen­to di elementi già noti»: niente tomba ma monumento per un culto successivo alla morte del Fondatore di Roma.

Una posizione durissima. Infatti venerdì scorso il direttore del Parco Archeologi­co del Colosseo, Alfonsina Russo, ha in sostanza confermato la tesi di Carandini, gettando acqua sui roventi entusiasmi mediatici: «Non è la tomba di Romolo ma è un luogo della memoria dove si celebrava il culto di Romolo, un cenotafio», ovvero un monumento sepolcrale privo del corpo di chi si sta celebrando.

Troppo spesso dopo una ammaliante bomba mediatica emerge una banale realtà persino dozzinale. Indimentic­abile, nel luglio 1987, l’annuncio del ritrovamen­to subacqueo delle basi del Colosso di Rodi. Emozione planetaria per una delle Sette Meraviglie del mondo antico.

Per giorni le troupe televisive del Pianeta litigarono sul molo per conquistar­si la postazione migliore. Poi si scoprì che le ipotizzate tracce di quattro dita della statua-faro erano il misero, volgare frutto del lavoro di una contempora­nea escavatric­e su una povera pietra di tufo. Addio al «ritrovamen­to del secolo».

Racconta Andreas Steiner, direttore del mensile «Archeo» fondato nel 1985: «Ogni anno, puntualmen­te, viene divulgata la “notizia” del ritrovamen­to dell’arca di Noè, ovviamente dalle parti del Monte Ararat in Turchia. Una superbufal­a ricorrente, anche perché il Diluvio Universale è un racconto di fatto mitico. Eppure ogni volta trova spazio sulla Rete e su alcuni giornali. E puntualmen­te in redazione ridiamo come pazzi. Così come abbiamo a lungo riso sulle cosiddette Piramidi Bosniache vicino a Sarajevo, sulla collina Viso ica. Sono sempliceme­nte il frutto di formazioni naturali ma c’è chi ha costruito un business».

Il riferiment­o è allo «scopritore» Semir

Osmanagi , piccolo industrial­e locale e archeologo dilettante, che le ritiene «antiche costruzion­i umane risalenti a 12.000 anni fa». Ha anche scavato l’area, con grande preoccupaz­ione dell’università di Sarajevo che ha temuto danneggiam­enti per la (vera) città medioevale di Visoki. Ma i giornali sono arrivati e la storia è apparsa su chissà quante prime pagine.

L’archeologi­a show ha mille inconvenie­nti, spiega Andreas Steiner: «La Rete tende ad amplificar­e le notizie false, sparate un giorno e destinate a sparire quello successivo. E invece, magari nello stesso momento, non vengono seguite con la doverosa attenzione le autentiche scoperte che, faccio un esempio italiano, continuame­nte emergono dagli scavi di Vulci. Non c’è alcun clamore, ma la sostanza scientific­a c’è. Quei risultati sì, che dovrebbero “fare titolo”».

La confusione è enorme, nella comunicazi­one sull’archeologi­a. Ne sa qualcosa Ugo Picarelli, fondatore e direttore dal 2015 della Borsa Mediterran­ea del Turismo Archeologi­co a Paestum: «Ogni anno assegniamo il premio alla scoperta più importante dell’anno. Per essere certi del valore scientific­o, chiediamo le candidatur­e alle più prestigios­e riviste archeologi­che europee: in Italia “Archeo”, in Germania “Antike Welt”, in Francia “Dossiers d’archéologi­e”, in Svizzera “Archäologi­e der Schweiz”, in Gran Bretagna “Current Archaeolog­y”. Abbiamo intitolato il premio all’archeologo-martire di Palmira, Khaled al-assad, dunque è obbligator­ia la massima autorevole­zza. Nel 2019 abbiamo premiato il Black Sea Maritime Archaeolog­y Project per il ritrovamen­to, davanti alla costa bulgara, di una nave sommersa del V secolo avanti Cristo».

Ci vuole, insomma, serietà. Paolo Matthiae cita un episodio che lo riguarda: «Nel 1975, quando trovammo gli archivi di Ebla, Sabatino Moscati pubblicò la notizia sul Corriere della Sera. Due giorni dopo mi chiamò il corrispond­ente del Times di Londra e mi mitragliò di domande. Gli chiesi perché non si fidasse del più autorevole quotidiano italiano. Mi rispose che si fidava completame­nte e sempre, ma che la loro regola era risalire in ogni caso alle fonti. Il risultato fu un grande articolo in prima pagina sul Times». Altro che archeologi­a-spettacolo.

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Il 17 febbraio viene annunciata «l’eccezional­e» scoperta di una tomba legata al culto di Romolo, notizia poi ridimensio­nata dagli archeologi
La tomba Il 17 febbraio viene annunciata «l’eccezional­e» scoperta di una tomba legata al culto di Romolo, notizia poi ridimensio­nata dagli archeologi
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Il 23 gennaio scorso l’annuncio che il cranio conservato all’accademia di Arte Sanitaria a Roma apparterre­bbe a Plinio il Vecchio
I resti Il 23 gennaio scorso l’annuncio che il cranio conservato all’accademia di Arte Sanitaria a Roma apparterre­bbe a Plinio il Vecchio

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