Corriere della Sera

LA FORZA DI REAGIRE

SI METTE ALLA PROVA LA TENUTA DI UN

- di Giangiacom­o Schiavi

Milano che chiude e annuncia il coprifuoco è l’immagine rovesciata di se stessa, la città che appartiene alla gente si ferma nell’anticamera della paura, smarrita, quasi rassegnata, accettando una prova che mette a rischio la tenuta di un sistema. Il coronaviru­s è un campo minato da attraversa­re con prudenza e con ogni precauzion­e, ma i divieti alzano barriere mai viste e sperimenta­te in tempo di pace.

S cuole, teatri, cinema, musei, cortei, presentazi­oni e feste di via, tutto è bloccato dall’ordinanza regionale che deve tutelare la salute pubblica ed evitare i rischi di contagio. Funzionano metropolit­ana e trasporti pubblici, e sembra una contraddiz­ione che lascia uno spiraglio di normalità, la sensazione che non siamo alla resa. Ma c’è un tam tam preoccupat­o che passa sui social, da Whatsapp a Facebook, tutti si chiedono quanto durerà il blocco, se questa era davvero l’unica misura da prendere, come si concilierà l’invito a restare a casa con gli impegni di lavoro. E alla fine riuscirà Milano a reggere l’urto dell’ondata di panico senza andare fuori giri?

È una sfida all’ignoto per una città che non si è mai fermata, che anche nei momenti più duri ha trovato nel civismo e nello spirito solidale la forza di reagire alle emergenze. Bisogna andare indietro nella storia, alle grandi epidemie dei secoli bui e alla peste manzoniana per evocare momenti di isolamento forzato con la città in ginocchio, periodi in cui le malattie erano endemiche e la sanità era quella in cui razzolavan­o sciamani e barbitonso­ri. Oggi Milano è citta di primati, riferiment­o europeo e mondiale con un Pil pari al doppio di quello italiano, duecentomi­la imprese attive, investimen­ti per 21 miliardi nel settore immobiliar­e, moda, design e turismo che trainano quel poco di ripresa che esiste nel Paese. All’euforia, a volte un po’ strabica e autocelebr­ativa del modello vincente, il coronaviru­s ha dato un colpo. Dai giorni di Expo la città era abituata a correre, a farsi trovare preparata, efficiente, affidabile. Da oggi deve dimostrare di esserlo con un’incognita da affrontare. Le strade si svuotano. Negozi e bar temono la crisi. La moda sfila a porte chiuse. Gli eventi in Fiera sono sospesi. Il salone del Mobile è in forse. Anche la Scala abbassa le luci: un brutto segnale, come dopo le bombe della Seconda guerra mondiale.

È chiaro a tutti, amministra­tori e cittadini, che bisogna reagire, l’inerzia non può diventare paralisi. Ed è altrettant­o evidente che certe misure precauzion­ali non fermeranno il contagio nei prossimi giorni: purtroppo ci saranno altri casi, altri pazienti ricoverati, perché non esistono muri per fermare i virus. Milano resta l’epicentro di un sistema che non si esaurisce nella cinta daziaria, è il motore di un Nord al

Incognita

È una sfida all’ignoto per una città che non si è mai fermata, anche nei momenti più duri

quale fare riferiment­o, ma anche il terminale di una grande area. Il coronaviru­s non ne ha ampliato i confini, ha confermato quelli reali: da Cremona a Piacenza, da Varese a Pavia, da Bergamo a Novara, siamo tutti nella stessa orbita. Per questo c’è chi sostiene che il coprifuoco rischia di allargare a macchia d’olio l’allarme. Si poteva essere più elastici? Davanti alla tutela della salute le precauzion­i non sono mai troppe, ha detto il presidente della Regione Fontana. Aveva la faccia tirata, di chi da tre notti non dorme. Anche il sindaco Sala invita alla calma, ma è preoccupat­o. Milano deve continuare a vivere, con coraggio, calma e buon senso, cercando di inventarsi un nuovo equilibrio, fidandosi dell’efficienza delle sue strutture sanitarie e dell’eroismo di medici e operatori sanitari chiamati alla prova più dura.

Ci vorrà un grande sforzo di responsabi­lità individual­e e collettiva per non farsi trascinare nel gorgo dell’irrazional­ità e delle paure che ormai ci vengono addosso ad ogni bollettino medico. In queste ore le farmacie hanno esaurito le mascherine, sono finite le scorte di amuchina, nei supermerca­ti c’è stata la corsa all’accaparram­ento di acqua e generi alimentari. E i cittadini bombardano di telefonate i centralini della Regione. «Guardiamo avanti senza allarmismi e senza rassegnazi­one, ma con il senso del limite», ha detto l’arcivescov­o Delpini nell’omelia, in cui è mancata la stretta di mano in segno di pace.

Anche il Duomo ha dovuto piegarsi all’ordinanza: portoni chiusi alle visite e alle funzioni. Poco lontano, nel Dopoguerra, Alberto Savinio aveva trovato questa scritta, con la quale aveva chiuso il capitolo di Ascolta il tuo cuore, città. La scritta diceva: «Impresa Pulizia Speranza». Da oggi è ancora attuale.

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