Corriere della Sera

LE RICETTE GLOBALI

Emergenza I virus non rispettano le frontiere, anche le più controllat­e. Erigere barriere non serve: è necessario invece rafforzare la cooperazio­ne internazio­nale

- di Sabino Cassese

Abbiamo visto con piacere il ministro della Salute e il presidente della Regione Lombardia annunciare insieme i dolorosi provvedime­nti diretti ad evitare l’estensione del contagio. E letto con soddisfazi­one che anche il presidente della Regione Veneto ha firmato insieme con il ministro la relativa ordinanza (la legge del 1978 sul Servizio sanitario nazionale richiede solo la firma del ministro).

Ma, per affrontare questo nemico, non basta la cooperazio­ne nazionale.

O

SEGUE DALLA PRIMA gni anno, un quarto circa degli abitanti del pianeta varca in aereo i confini del proprio Paese. Abbiamo visto quanti italiani, di età diverse, per motivi diversi, erano nella provincia di Hubei. Un grande studioso inglese, che era stato a lungo presidente della Corte internazio­nale di giustizia, un quarto di secolo fa, a una persona che gli chiedeva di parlare della sovranità degli Stati, rispose: guardi quante persone all’aeroporto di Amsterdam attendono ogni giorno di volare in altri Paesi senza una specifica autorizzaz­ione o un modulo da riempire (e purtroppo i virus si muovono ancora più liberament­e e rapidament­e). Se il problema è globale, la soluzione non può che essere globale. Ogni volta che si presenta un problema di queste dimensioni, si deve constatare che «blindare porti e confini» (come qualcuno ha proposto) è inutile: occorre, invece, rafforzare la cooperazio­ne internazio­nale. Non meno, ma più globalizza­zione.

L’organizzaz­ione mondiale della sanità (Oms) ha forse sottovalut­ato inizialmen­te il pericolo; o non è stata informata per tempo da autorità nazionali reticenti; o è intervenut­a in ritardo; o ha mancato di monitorare l’estensione del contagio; o non ha avuto a disposizio­ne tutti i poteri che erano necessari. Nonostante i meriti acquisiti in più di settanta anni di attività (la sua «costituzio­ne» risale al 1946, il suo funzioname­nto al 1948), nonostante che vi aderiscano oggi 150 Stati, che vi lavorino 7 mila persone, distribuit­e in sei diverse «regioni» (i continenti), nonostante che abbia un’assemblea rappresent­ativa di tutti gli Stati membri, un esecutivo di 34 persone elette dall’assemblea e un direttore generale (oggi un ricercator­e e politico etiope), nonostante i successi ottenuti (ha sradicato o fortemente contenuto poliomieli­te, vaiolo, colera, peste, febmente, bre gialla, tifo, malaria, Aids, tubercolos­i), l’organizzaz­ione mondiale della sanità ha un bilancio annuale di soli 2,2 miliardi di dollari (metà del costo di un grande ospedale di New York), tanto che per affrontare il coronaviru­s ha dovuto iniziare una raccolta di fondi, e, principalM­ovimenti Ogni anno, un quarto circa degli abitanti del pianeta varca in aereo i propri confini è dotata di poteri insufficie­nti.

Quello dei poteri dell’oms è il punto dolente: può promuovere la raccolta di studi, dare direttive tecniche, consigliar­e, monitorare, informare la stampa, istruire la popolazion­e, emanare istruzioni tecniche, regolare la farmacopea, certificar­e la qualità dei farmaci, dare l’allarme e mettere sull’allerta, ma incontra limiti quando si tratta di interventi di vera e propria polizia sanitaria. Eppure, in altri campi, come quello del terrorismo globale, si è trovato modo di superare le difficoltà di dare ordini persino agli Stati, con nuove e più elaborate forme di cooperazio­ne (un organo internazio­nale individua le persone sospette e detta le misure da adottare, organi nazionali provvedono ad eseguirle).

La sanità globale è un bene troppo importante per lasciarlo nelle sole mani degli Stati, prigionier­i dei risorgenti sovranismi, e dei servizi sanitari nazionali (che sono necessari, ma non sempre sufficient­i). La salute è un diritto umano fondamenta­le, assicurato a livello internazio­nale.

I virus, come i terroristi, non rispettano le frontiere, anche le più controllat­e. Ergere barriere non serve, salvo che non ci si riduca a forme nuove di economia curtense. Serve invece rafforzare la cooperazio­ne internazio­nale, seguire l’esempio dato, in Italia, da politici di parti tanto opposte, il ministro Speranza e i presidenti Fontana e Zaia.

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