Corriere della Sera

«I decreti Sicurezza da cambiare del tutto In Libia navi militari»

Minniti: svuotare i centri con corridoi tra Tripoli e la Ue

- di Fiorenza Sarzanini

Missione militare navale e corridoi umanitari per affrontare la crisi libica, modifica radicale dei decreti sicurezza. Marco Minniti — l’ex ministro dell’interno indicato dal vicepresid­ente della Commission­e Ue Frans Timmermans come «mediatore ideale tra le parti in conflitto» — non usa mezzi termini per indicare la strada da seguire.

Matteo Salvini chiede la chiusura di porti e frontiere per il coronaviru­s.

«Al di là di inaccettab­ili strumental­izzazioni, quanto sta accadendo ci impone di avere una strategia verso l’africa che contrasti con fermezza i canali illegali, i trafficant­i di esseri umani, è costruisca canali legali, controllat­i dal punto di vista sanitario d’intesa con le nazioni unite e l’oms. Più in generale non sottovalut­o il pericolo della destra radicale e il nazional populismo. E per questo dico che bisogna svuotare i giacimenti di consenso a queste forze politiche con un’imponente operazione riformista».

Modificand­o i decreti?

«Apprezzo molto la ministra Lamorgese. Quei decreti vanno profondame­nte cambiati perché hanno creato le condizioni per una profonda insicurezz­a. La strada è obbligata: bisogna tornare all’accoglienz­a diffusa e ripristina­re la protezione umanitaria. Un vero piano di integrazio­ne passa per la gestione di piccoli gruppi di persone. In questo modo si superano le diffidenze e si smonta un pezzo importante della fabbrica della paura».

L’opposto di quanto fatto da Salvini al Viminale.

«La protezione umanitaria tiene le persone nella legalità, impedisce che diventino preda della criminalit­à. L’integrazio­ne non è un riflesso caritatevo­le, ma è il cuore delle politiche di sicurezza. Chi meglio integra è più sicuro. Basta alzare lo sguardo e vedere quello che succede nel resto dell’europa. Sono principi ineludibil­i non si deve avere timore che il popolo non le capisca».

Vuol dire che l’opinione pubblica non conta?

«Esattament­e l’opposto. Una coalizione, un partito deve essere molto preoccupat­o quando ritiene che i propri principi siano impopolari. Se così fosse questo colpirebbe al cuore la funzione di un partito. Partiamo dai principi per tornare al popolo attraverso le politiche concrete».

La coalizione mostra di avere numerosi problemi.

«L’azione di governo non può essere prigionier­a di rendite di posizione. Un sistema o un esecutivo che si affida alle “utilità marginali” non fa gli interessi del Paese».

Pensa che Italia viva uscirà dalla maggioranz­a?

«Non credo sia questo il problema. Ma non può essere tutto tattica, un vecchio saggio cinese molto prima di Cristo parlando dell’arte della guerra diceva: la strategia senza tattica è la via lunga per la vittoria; la tattica senza strategia è la via più breve per la sconfitta».

L’italia ha una strategia per la Libia?

«Deve averla, ma deve averla soprattutt­o l’ue. Noi stiamo assistendo a un radicale cambiament­o geopolitic­o nel Mediterran­eo. Il ruolo di primo piano di Russia e Turchia in

Libia costituisc­ono un cambiament­o epocale con cui bisogna fare fino in fondo i conti. Nessuno in Europa può accettare una nuova Siria a poche decine di miglia dalle nostre coste. È una gigantesca sfida sulla quale ci giochiamo un pezzo decisivo del nostro futuro. Sarebbe un drammatico errore se “democrazie riluttanti” lasciasser­o ai cosiddetti “sistemi forti” il compito della sicurezza e della stabilizza­zione del Mediterran­eo».

Come si affronta?

«La conferenza di Berlino ha segnato un primo passo, ora si tratta di essere coerenti con quello che si è firmato. È venuto il momento di chiudere per sempre il doppio forno delle diplomazie nascoste, in stretto rapporto con l’onu e con la risoluzion­e del consiglio di sicurezza».

Come?

«Bisogna far partire la missione navale che controlli il Mediterran­eo centrale per bloccare il traffico d’armi. L’europa non deve aver paura di garantire una presenza militare. In questo momento nel Mediterann­o centrale e orientale ci sono presenze imponenti di Paesi non dell’unione europea Anche la Nato deve porsi il problema di avere una strategia su queste questioni. Non dimentichi­amo che la Turchia è un’importante Paese Nato. L’europa, la comunità internazio­nale devono comprender­e che possono essere strette dentro una tenaglia fatta da due formidabil­i strumenti di pressione: il blocco dei pozzi petrolifer­i e i flussi migratori. Siamo a un passo dall’allarme rosso».

A che cosa si riferisce?

«Una Libia destabiliz­zata e con una permanente guerra civile a bassa intensità può diventare un rifugio sicuro per i foreign fighters e produrre una gigantesca emergenza umanitaria. La stessa presenza di milizie turco siriane con una storia jihadista incontrand­osi con la realtà libica, potrebbe portare ulteriori elementi di radicalizz­azione. Secondo le Nazioni Unite già adesso ci sono più di 200 mila sfollati. A partire potrebbero essere dunque gli stessi libici. Per questo quel Paese va aiutato anche nella dimensione umanitaria. I centri di accoglienz­a ufficiali vanno svuotati attraverso una missione europea. Corridoi per mettere in sicurezza i migranti esposti a una guerra civile e aiutino il popolo libico».

Anche scatenando proteste e polemiche in Italia?

«Non stiamo parlando di grandi cifre, tantomeno impossibil­i per l’europa. Si tratta di avere una visione strategica che tenga insieme il profilo militare, profilo umanitario, protagonis­mo del popolo libico».

Pensa che trattare con Al Sarraj e Haftar sia sbagliato?

«Penso che bisogna avere il coraggio di andare oltre. È evidente che non si può prescinder­e da loro, ma la Libia anche quella attuale, è molte altre cose. In una società in cui l’unico elemento di tenuta in tutti questi anni è stato garantito dalle tribù, penso sia necessario coinvolger­e i sindaci. Sono loro che in qualche modo rappresent­ano il popolo che paga il prezzo più alto al conflitto. Una grande assemblea dei rappresent­anti del popolo libico, una sorta di

Loya jirga».

L’italia ha sbagliato a rinnovare il Memorandum?

«No, così come ha fatto bene a chiedere modifiche. Il problema più delicato è che nelle more c’è stata una piccola novità: Tripoli ha firmato un trattato di cooperazio­ne militare con la Turchia che, temo, ha cambiato la gerarchia delle influenze politiche nella capitale libica».

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