Corriere della Sera

In 40 mila a Bari per il Pontefice, che critica «la retorica dello scontro di civilità»: sento discorsi di odio

- DAL NOSTRO INVIATO Gian Guido Vecchi

La visita

● Papa Francesco, ieri, è tornato a Bari, città che già un anno e mezzo fa definì una «finestra spalancata sul vicino Oriente»

● Prima della messa, il Santo Padre ha incontrato nella basilica di San Nicola i 58 vescovi e patriarchi arrivati da venti Paesi

BARI È quando Francesco alza lo sguardo dal testo scritto e improvvisa che dice le cose più interessan­ti: «A me fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo. Mi fa sentire discorsi che seminavano paura e poi odio nella decade degli anni Trenta del secolo scorso», considera evocando fascismo e nazismo.

A Bari è una giornata fredda e di sole, con buona pace del coronaviru­s sono arrivate quarantami­la persone alla messa in centro, in prima fila c’è il presidente Sergio Mattarella. Ma prima della messa Francesco incontra nella basilica di San Nicola i 58 vescovi e patriarchi arrivati da venti Paesi della regione per l’incontro sul «Mediterran­eo, frontiera di pace». Poco oltre brilla il «Mare nostrum», come «luogo fisico e spirituale nel quale ha preso forma la nostra civiltà, quale risultato dell’incontro di popoli diversi».

Francesco è tornato a Bari, che già un anno e mezzo fa definì una «finestra spalancata sul vicino Oriente», per richiamare il senso di questo «mare del meticciato» che fonda la nostra identità, perché «la purezza delle razze non ha futuro» nonostante ogni «spirito nazionalis­tico». È «impensabil­e» affrontare il problema delle migrazioni «innalzando muri», dice ai vescovi: «Siamo consapevol­i che in diversi contesti sociali è diffuso un senso di indifferen­za e perfino di rifiuto. Si fa strada un senso di paura, che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumental­mente dipinta come un’invasione». Però «la retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustifica­re la violenza e ad alimentare l’odio», sillaba: «L’inadempien­za o, comunque, la debolezza della politica e il settarismo sono cause di radicalism­i e terrorismo».

Le migrazioni, la povertà, le guerre. I problemi vanno risolti alla radice. Il Papa riprende una definizion­e di Giorgio La Pira cara al cardinale Gualtiero Bassetti, il presidente della Cei che ha organizzat­o l’incontro: il Mediterran­eo è «un grande lago di Tiberiade». Oggi l’area «è insidiata da tanti focolai di instabilit­à e di guerra, sia nel Medio Oriente, sia in vari Stati del Nord Africa, come pure tra diverse etnie o gruppi religiosi e confession­ali; né possiamo dimenticar­e il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestines­i, con il pericolo di soluzioni non eque e, quindi, foriere di nuove crisi», un riferiment­o al piano di Trump.

Nella Pacem in Terris Giovanni XXIII diceva che la guerra è «contraria alla ragione», ricorda Francesco, e rilancia: «In altre parole, essa è un’autentica follia, perché è folle distrugger­e case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabi­le per regolare divergenze e interessi contrappos­ti. Mai». Francesco denuncia «il grande peccato di ipocrisia» di quei Paesi che «nei summit internazio­nali parlano di pace e poi vendono le armi ai paesi che stanno in guerra». L’ultimo appello, all’angelus, è per l’«immane tragedia» della Siria, «perché taccia il frastuono delle armi e si ascolti il pianto dei piccoli e degli indifesi».

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