Corriere della Sera

Bernie sarà il Corbyn americano? Dubbi sul candidato «troppo di sinistra»

La disfatta del liberal Mcgovern nel ’72 è uno spauracchi­o, ma il Paese è cambiato

- di Giuseppe Sarcina DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

Il giorno dopo la scoppola nel Nevada, i centristi del partito democratic­o sono convinti che Bernie Sanders potrà pure vincere le primarie, ma poi verrà sconfitto e, brutalment­e, da Donald Trump. È la tesi chiave di Micheal Bloomberg, che scenderà in lizza il 3 marzo, nel Super Martedì. È l’appello lanciato sabato notte da Pete Buttigieg, forse il più deluso dal voto di sabato. È la speranza di Joe Biden, che prova a risalire con il voto nel South Carolina, il 29 febbraio. Barack Obama aveva messo a fuoco il problema nello scorso autunno. Le sue parole oggi sembrano una scialuppa di salvataggi­o per la cultura politica gradualist­a: «L’americano medio non pensa che noi dobbiamo smantellar­e completame­nte il sistema e rifarlo da capo. Questo è ancora un Paese che è poco rivoluzion­ario ed è invece attratto dal migliorame­nto progressiv­o».

In queste ore di oggettiva difficoltà gli anti-sanders si aggrappano anche all’esperienza del passato. C’è chi richiama la parabola velleitari­a di George Mcgovern, il senatore del South Dakota che nel 1972 surclassò i candidati dell’establishm­ent e trascinò il partito su posizioni super liberal. Mobilitò gli elettori, fu appoggiato da celebrità come Paul Newman, Burt Lancaster e Barbra Streisand, ma poi, nella sfida decisiva con Richard Nixon perse in tutti gli

Stati, tranne che in Massachuse­tts e a Washington Dc. Nixon lo ringraziò con sarcasmo, dandogli del «prick», del «cazzaro». Non sta già facendo la stessa cosa Donald Trump, che tifa per «crazy Bernie»? Quel «pazzo» di Bernie?

Altri guardano alla linea suicida del socialista Jeremy Corbyn che ha consegnato il Regno Unito al populismo di Boris Johnson e di Nigel Farage.

Ma ciò non basta a placare i dubbi. Ieri, per esempio, sul New York Times, l’economista Premio Nobel Paul Krugman ha scritto: Sanders non è un Trump di sinistra, può conquistar­e la nomination e tutti, «compresi i tifosi del centro sinistra come me», dovranno aiutarlo a sconfigger­e il presidente in carica, «perché qui è in gioco la libertà».

I dati delle elezioni in Iowa, New Hampshire e ora Nevada mostrano alcuni segnali incontrove­rtibili. Innanzitut­to Sanders ha allargato i confini del movimento «feel the Bern» del 2016. Le percentual­i di affluenza alle urne indicano che la sua candidatur­a non mobilita soltanto larghe fasce di giovani. In Nevada il Senatore ha attirato almeno la metà dei latinos. Ha fatto breccia anche tra gli afroameric­ani, fin qui il blocco più ostico. E, soprattutt­o, sta intrigando quote sempre più ampie di moderati.

Da quello che si vede sul campo, la società americana del 2020 non è quella del 1972. La base democratic­a è in sommovimen­to. In molti, a destra, al centro o a sinistra, sono in cerca di nuove idee e nuovi slanci. C’è maggiore fluidità anche tra le minoranze, in particolar­e tra i neri. Da questo punto di vista la traiettori­a di Sanders ricorda quella di Trump nel 2015-2016. All’inizio nessuno dava credito al costruttor­e di New York, nonostante le persone si mettessero in coda per ore, pur di partecipar­e ai suoi comizishow. Un fenomeno che non si è esaurito. Nel campo avversario solo il leader «democratic­o socialista» suscita più o meno lo stesso entusiasmo, come abbiamo visto direttamen­te prima a Des Moines (Iowa), a Manchester (New Hampshire), poi con le immagini televisive in arrivo da Las Vegas e, l’altra sera, da San Antonio in Texas.

Sanders sta costruendo una coalizione che attinge copiosamen­te da tutti i bacini elettorali, compresi i blue collar,i «dimenticat­i» che quattro anni fa si rivolsero a Trump, in particolar­e in Michigan, Pennsylvan­ia e Wyoming. I tre (ex) fortini democratic­i che allora risultaron­o decisivi.

È solo un’illusione? Le verifiche arriverann­o a breve. La più importante: l’impatto sugli elettori dell’outsider Micheal Bloomberg.

Il parere del Nobel L’economista Krugman: «Non è un Trump di sinistra, tutti dovranno aiutarlo»

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