Il «fatto a mano» contro il dominio del digitale
Guardare e rifare è una cosa da imparare. Parola di Dolce&gabbana che invitano chiunque a creare da sé ogni capo desiderato. «Tutte le volte che vediamo una persona per strada vestita in uno stile che è il nostro ma non indossa neppure un capo firmato da noi, ne siamo orgogliosi», dicono raccontando in parole la loro collezione «Fatto a mano». «Cosa c’è di più bello di sapere che puoi fare con le tue mani qualsiasi cosa desideri? Noi vorremmo, in un mondo dominato dal digitale, riscoprire e far scoprire alla nuove generazioni che è possibile realizzare un abito». La premessa porta all’epilogo e l’intera collezione che sfila al Metropol è quanto di più «fatto a mano» ci possa essere, a maglia o all’uncinetto o a qualsiasi tecnica artigianale: dai cappotti over e importanti, ai tailleur, agli abitini corti, ai blouson, alle calze ma persino le scarpe, gli stivali, le borse, i reggiseni e le culottes. E non è un puro esercizio di stile: il grande lavoro è stato sviluppare le tecniche perché i capi non perdano di leggerezza.
Se non è maglia sono semplici tubolari di jersey, annodati, drappeggiati, rimborsati. O colletti e polsini che rivitalizzano magari un tre pezzi (giacca, pantaloni, gilet) rubato al guardaroba di lui. E i gessati si vivacizzano di fiori applicati a mano «recuperati» da sete dimenticate. O il prezioso lenzuolo ricamato del corredo può trasformarsi in un abito da sera. Non mancano, tra un cappotto vestaglia cocoon e un calzerotto sceso sul sandalo stiletto, i completi sartoriali da picciotta o i tailleur avvitati da bella del sud in tulle trasparente. Sottolineature, anche queste, di uno stile inconfondibile in bianco e nero, marrone e cammello.
Esplora un immaginario che ha che fare con l’erotismo e la seduzione Marianna Rosati per Drome. «Consapevo
lezza della propria sensualità» dice e si rifà alle immagini sbiadite, in bianco e nero, di signorine di piacere. Volti esotici e corpi abbandonati. E poi traduce in abiti con mini morbide, culottes, sottovesti indossate con le parigine e sotto a cappotti maschili o trench. Ma anche spacchi o scollature o drappeggi che intrigano tailleur o vesti più castigati. La pelle naturalmente, focus di Drome: specchiata, invecchiata, increspata, effetto raso a tinte crepuscolari
Ports 1961 ritorna a Milano dopo qualche stagione a Londra e trasforma i grandi spazi della Pelota in un’immaginario paesaggio alla De Chirico dove le modelle si muovono entrando e uscendo da archi e porte. Metafisica e quotidiano. Spazio e protagoniste. Tante, diverse perché ancora una volta è l’individualità a ispirare Karl Templer e a ricercarla comunque fra le donne di una certa borghesia anni Settanta: capispalla audaci ma protettivi, abiti fluidi si seta, maglie con camicia e gonna, stivali immancabili.
Da Boss in uno spazio totalmente lilla ci sono le top model Irina Shayk, Bella Hadid, Doutzen Kroes e Vittoria Ceretti che sfilano su una passerella ovale che circonda un’orchestra che suona il pezzo Down to Earth, composto da Henry Scars Struck. Struggente. Poi a contrasto il rigore minimale del brand fra cappotti dall’aplomb impeccabile, vestiti di jersey super tagliati, pelli intrecciate con precisione e tessuti lucidi a stampa digitale.
Le lavorazioni Moltissima maglia, uncinetto, ricamo e qualsiasi altra tecnica artigianale