Twitter non ti piace? Nessuno ti obbliga
Ho letto sull’ultimo numero di «7Corriere della Sera» l’intervista molto bella di Luca Mastrantonio alla scrittrice Zadie Smith e non capisco l’enfasi con cui lei dichiara di aver ripudiato Twitter, tutto un tono da martire della libertà, come se avesse compiuto un gesto eroico, o comunque un atto di resistenza, uno stentoreo «non ci sto» come guanto di sfida da lanciare contro le brutture del mondo. E invece è tutto molto semplice e banale: se Twitter ti piace, ci stai, se non ti piace, lo eviti. Nessuno ti obbliga a twittare. Ingresso libero e uscita libera: qual è il problema? Se non ti piace la sua grammatica, basta evitarla. Se ti piace, restaci senza lamenti. E invece sta diventando un’abitudine lamentarsi su Twitter delle magagne di Twitter (o di Facebook, o di Instagram, o di qualunque social network), come se ci si autoinvestisse della missione di purificare un mondo marcio e maleducato, oppure di proclamare: basta, esco, questo mondo non mi merita. Anche io una volta, in una botta di malumore dovuto a una valanga di insulti che mi sono piovuti addosso neanche ricordo perché, ho ceduto alla tentazione martirologica: basta, esco, questo mondo non mi merita. Poi ho scoperto il piacere della cancellazione, liberandomi con un semplice clic di odiatori anonimi e insultatori professionali, e più insistono e più cancello, blocco, elimino. E invece ci si lamenta: ci si lamenta della volgarità, delle cose che si vomitano riparati dall’anonimato. Ci si offende e si comunica a tutti gli altri della mortale offesa cui siamo stati sottoposti. E se non è «esco», «me ne vado», si passa a «è tutto uno schifo», «che tempi», «che ci sto a fare qui in questa cloaca». Svanisce nella nebbia dell’indignazione il piccolo dettaglio che la partecipazione a Twitter sia atto volontario, relazione tra adulti consenzienti e che se si ritiene intollerabile la sua atmosfera, basta non tollerarla più semplicemente andandosene. O bloccando chi non piace. Oppure frequentando i social network in dosi omeopatiche per non farsi intossicare, poco alla volta, evitando una sindrome che assomiglia molto, troppo, alla ludopatia. È facile, basta poco, e non è nemmeno martirologio. È semplice buonsenso.