INTERVENTI E REPLICHE
La vita degli ebrei dopo le leggi razziali
In una lettera del 16 febbraio il signor Saltamonte ha sostenuto che, nonostante le «leggi razziali» del 1938, fino al 25 luglio 1943 «a nessun ebreo fu fatto del male». Ora, è incontestabile che con l’occupazione tedesca (settembre 1943) si sia passati dalla persecuzione dei diritti a quella delle vite (Michele Sarfatti). Ma sostenere che dal 1938 al 1943 la vita per gli ebrei italiani sia stata rose e fiori è una tesi ampiamente contestata dalla storiografia più seria. L’introduzione delle «leggi razziali» costituì infatti un vulnus gravissimo per i cosiddetti «appartenenti alla razza ebraica». Per alcuni, come Leone Ginzburg, significò la perdita della cittadinanza italiana; per i medici ebrei, l’impossibilità di curare i pazienti «ariani»; per i giornalisti, l’allontanamento dai giornali in cui lavoravano; per i dipendenti di banche pubbliche e di tutti gli altri enti controllati dallo Stato, la dispensa dal servizio; per gli studenti, la cacciata dalle scuole di ogni ordine e grado; per i militari, l’esclusione dalle Forze Armate; per i magistrati, l’espulsione dalla magistratura. Altrettanto devastanti furono i costi scientifici delle «leggi razziali», come documentato da Angelo Ventura nelle sue ricerche sull’applicazione delle norme antiebraiche nell’università italiana. Oltre cento docenti di ruolo (e fra questi molti luminari) furono infatti costretti da un giorno all’altro a lasciare una cattedra che era tutta la loro vita.
Alla fine degli anni Novanta, anche la Corte Costituzionale ha ritenuto le discriminazioni normative nei confronti degli ebrei complessivamente «lesive dei diritti fondamentali e della dignità della persona» (sentenza n. 268 del 1998).
Raffaele Liucci, Venezia
Le scelte nella conduzione del Festival
Vorrei esprimere il mio apprezzamento a Paolo di Stefano e ringraziarlo per il corsivo «L’ipocrisia del paese delle vallette» (Corriere, 10 febbraio).
Condivido quello che ha scritto e che così bene dà voce alle mie perplessità riguardo alla presenza di 10 «bellissime» donne al festival di Sanremo. Non una valletta ma «una decina di vallette a vario titolo». Qualcuna senza arte né parte ma con la patente di essere la compagna di e naturalmente bellissima (nonché debitamente svestita). Dispiace che non sia stato colto e messo in luce il «sessismo» sotteso alla scelta di sostituire una conduttrice alla pari con il conduttore con 10 «vallette». Un passo indietro rispetto a festival precedenti per quanto riguarda la tanto sbandierata par condicio. Un festival tutto al maschile, nella sostanza. Senza nulla togliere alla simpatia e alla professionalità di Amadeus, Fiorello e Tiziano Ferro.
Elisa Legnaro, Rovigo