Corriere della Sera

Nell’abisso della mente

In «La fine del tempo» Guido Maria Brera indaga i misteri di un uomo senza ricordi

- di Carlo Baroni

La memoria non si genuflette al tempo. Troppo orgogliosa. Gioca un’altra partita. Dove le regole sono un disordine organizzat­o. Per questo non può essere solamente una scatola di ricordi. La memoria è un filo aggrovigli­ato, un fardello incollato alla coscienza, squarci di felicità destinati a scolorarsi. Philip Wade la memoria l’ha persa. In un incidente. Come un libro con le pagine strappate. Un dramma. Per un professore di Storia come lui, di più. Philip è il protagonis­ta de La fine del tempo, il nuovo coinvolgen­te romanzo di Guido Maria Brera, edito da La nave di Teseo. Un viaggio nelle domande di un uomo immerso in un mondo che non è ancora futuro senza essere più nemmeno presente.

Philip è stato un analista finanziari­o. Di quelli che sanno leggere righe invisibili prima ancora che qualcuno cominci a scriverle. Ma la nuova realtà è più oscura della stele di Rosetta prima che venisse svelata. Segnata dal big bang della Grande Crisi che al confronto il crollo delle Borse del 1929 è stato qualche giorno in balia dell’orso. La memoria del professor Wade si arresta a un libro che stava ultimando (o era già finito?), righe che stavano scuotendo certezze. Un mistero. Da ricucire come una ferita che continua a grondare sangue.

Ci sono nomi che affiorano inevitabil­i. Che dicono qualcosa ma non spiegano niente. Di qualcuno che non c’è neanche più. Eleanor Mcgregor era la più brillante tra le studentess­e di Philip, morta nell’incendio di un grattaciel­o a Londra. Quella Grenfell Tower che riporta a un drammatico fatto di cronaca con la morte di due giovani italiani. E proprio la capitale inglese fa da sfondo, insieme a Roma, di una vicenda dai tratti persino gotici se non fosse ambientata ai giorni nostri. La Londra dei turisti e delle banche d’affari. Della tradizione e del futuro che è già passato oltre e non te ne sei neanche accorto. Emblema di un tempo che non sa più come entrare nella clessidra. L’epicentro di una globalizza­zione che come un virus si inocula dentro un tessuto che quando si accorge di essere stato contagiato è troppo tardi. E conquiste come lavoro e welfare diventano gergo antico, geroglific­i di un mondo che non ha più ragione d’essere.

Guido Maria Brera racconta un mondo che conosce dal di dentro. Ne mostra le fessure che rischiano di far sgretolare teoremi e profezie. Lo fa con una lucidità che non è mai tecnicismo freddo. Dietro i calcoli, le cifre, le strategie, c’è l’essere umano.

Ci sono le parole di un’economia (di una finanza?) che abbiamo imparato ad ascoltare, fingendo persino di aver capito che cosa significan­o veramente. Quantitati­ve easing, QE (come se l’acronimo ci regalasse dimestiche­zza con i contenuti), la trasfusion­e di denaro che ha salvato gli Stati Uniti da un attacco che poteva mettere in ginocchio gli araldi di un capitalism­o che aveva perso l’autostima. Brera ne conosce i linguaggi e sa come decodifica­rli. Mantenendo sempre la giusta distanza. Accompagna il lettore nelle stanze di chi decide e vuole restare nell’ombra.

Uno scrittore che tratteggia con la sicurezza di chi ha camminato spesso tra le sue vie la Londra di un’europa ostaggio dei sovranismi. Il Continente che pensava bastasse abbattere muro e comunismo per ritrovare la linfa che le aveva dato vigore all’indomani della Seconda guerra mondiale. Un Est dove la riconquist­ata libertà si è presto trasformat­a in un egoismo gretto e chiusure senza motivi.

«Eravamo su una palla di cannone lanciata a velocità folle verso il futuro» disegna con le parole Dominic Morgan, l’amico di Philip, il guru o forse altro di più. L’uomo che conosce i segreti e ne è parte. Perché i misteri partono da ere cancellate dalla sabbia del tempo. E un professore di Storia come Wade lo sa. Magari in quella Mesopotami­a del re Hammurabi e del suo Codice dove provarono ad azzerare il debito e chissà come sarebbe finita se ci fossero stati epigoni da lì in avanti. Un guizzo di saggezza e anche di coraggio. Perché la memoria non si genuflette al tempo.

Il protagonis­ta, docente di Storia, è stato un analista finanziari­o. La sua memoria si è arrestata al libro che stava finendo di scrivere

 ??  ?? Pop-up Nella foto l’installazi­one d’arte pop-up No Money No Talk realizzata dalla National Co-operative Federation di Singapore (Sncf) nel 2018 per aumentare la consapevol­ezza sul movimento cooperativ­o in città, in particolar­e le cooperativ­e di credito. L’installazi­one è stata esposta a Singapore, lungo Orchard Road, fuori dalla Mandarin Gallery
Pop-up Nella foto l’installazi­one d’arte pop-up No Money No Talk realizzata dalla National Co-operative Federation di Singapore (Sncf) nel 2018 per aumentare la consapevol­ezza sul movimento cooperativ­o in città, in particolar­e le cooperativ­e di credito. L’installazi­one è stata esposta a Singapore, lungo Orchard Road, fuori dalla Mandarin Gallery

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