Corriere della Sera

L’albania punta sul ruolo creativo della diaspora

Il convegno con Passaggi

- Di Jessica Chia

Identità, traduzione, memoria, diffusione TIRANA del libro: di questi e altri temi si è dibattuto a Tirana, al Convegno degli scrittori albanesi della diaspora tenuto sabato 22 febbraio. Organizzat­o dal Ced (Centro editoriale della diaspora, diretto da Mimoza Hysa), in collaboraz­ione con il ministero della Diaspora, l’incontro ha riunito nella città albanese, che quest’anno celebra i suoi cento anni da capitale dello Stato balcanico, quasi 50 scrittori, provenient­i soprattutt­o dall’europa, che hanno lasciato il loro Paese di origine. Ospite italiano del convegno è stato Passaggi festival di Fano (nelle Marche dal 22 al 28 giugno), che l’anno scorso ha aperto una delle sue sezioni tematiche proprio alla narrativa balcanica.

«Diaspora» è la parola con la quale si apre il primo incontro, dopo i saluti dei ministri Pandeli Majko (Diaspora) ed Elva Margariti (Cultura), che promettono di sostituire «i bunker con le librerie». Aprono gli autori che dirigono riviste culturali all’estero; ne emerge il tema dell’identità: vivere lontano dalla patria significa inventarne una nuova, pur mantenendo quella di origine; è qui l’ambiguità della letteratur­a migrante. Bashkim Shehu (La Rivincita, Rubbettino), che a Barcellona dirige «Bridge Magazine», parla del ruolo degli intellettu­ali in Europa: «Si tende a demolire l’idea di Europa, ma è anche grazie all’ue se i Balcani hanno avuto un relativo momento di pace negli ultimi vent’anni».

Il convegno prosegue con dibattiti sulla memoria in letteratur­a, sulla poesia e sulla lingua. Anilda Ibrahimi (Rosso come una sposa, Einaudi) scrive solo in italiano: «Gli esiliati hanno delle fratture che portano per tutta la vita e in cui risiede l’identità, che non è statica, ma liquida». Arben Dedja, chirurgo e autore pubblicato dalla casa editrice Besa (in albanese ha tradotto Saba e Cavalcanti) scrive in entrambe le lingue (autotraduc­endosi) e dice di sentirsi «il marchio albanese, ma tramite l’italiano». E si parla anche del rischio dell’esotismo: Ibrahimi lo rifiuta («il mondo si è stancato, ha bisogno di letteratur­a buona»), Dedja lo evita con l’autoironia. L’autrice Ismete Selmanaj Leba spiega le difficoltà di scrivere in un’altra lingua da adulto, ricordando poi come sia nata alla fine degli anni Ottanta la letteratur­a migrante in Italia.

Si chiude con un dibattito dedicato alle traduzioni, su cui l’albania investe poco: un problema che si unisce alla situazione difficile del Paese, dove le case editrici scarseggia­no, la distribuzi­one del libro è quasi nulla e il costo dei volumi è alto. Poche anche le librerie. E gli autori della diaspora soffrono questi limiti perché, spesso, è proprio nel loro Paese che non vengono tradotti. Livio Muci, direttore editoriale di Besa, che negli anni Novanta è stato tra i primi in Italia a pubblicare letteratur­a balcanica, racconta: «Nel 1991 usciva Ritorno al Paese delle aquile di Aldo Renato Terrusi: mostrò che quel popolo aveva un giacimento culturale da salvare e tradurre».

L’editoria albanese prova a ripartire da questo convegno. Qualcuno sostiene che la letteratur­a non ha patria perché «supera le barriere». Gli autori della diaspora hanno costruito ponti verso altre culture. Ora è tempo che i ponti partano dalla loro patria.

 ??  ?? Lo scrittore Bashkim Shehu
Lo scrittore Bashkim Shehu
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy