Dubbi e accuse tra mamme in un sorprendente giallo
Un tranquillo quadretto familiare si trasforma in un campo di battaglia
Appassionati delle dolci famigliole astenersi! Sostenitori dell’amore materno, anche. Il quadro familiare che esce dal film del belga Olivier Massetdepasse non è proprio di quelli fatti per rassicurare. Piuttosto Doppio sospetto sembra fatto apposta per istillare dubbi e sospetti anche dietro il più rassicurante dei cavalieri dell’amore, la mamma.
Siamo in Belgio, negli anni Sessanta, e due famigliole, i Brunelle e i Geniot vivono fianco a fianco in una casa gemella. Entrambe hanno un figlio di sette o otto anni — i primi Theo, i secondi Maxime — che naturalmente sono amici. Così come sono amiche le famiglie, che organizzano vicendevolmente feste di compleanno a sorpresa, accompagnano e ritirano i figli a scuola e si aiutano reciprocamente. Almeno fino al momento in cui, per una imperdonabile sventatezza (cercare di recuperare il gatto di famiglia da una grondaia), Maxime cade dalla finestra del primo piano e muore.
Una fatalità che non si poteva evitare? Non proprio perché Alice Brunelle (Veerie Baetens) era in giardino e ha cercato di avvisare il bambino del pericolo ma anziché passare attraverso il buco nella siepe che divide le due proprietà (e che forse le avrebbe permesso di arrivare in tempo a fermare Maxime), ha fatto il giro lungo, al di là della siepe, per poi salire in camera dove è arrivata quando ormai la tragedia si era compiuta. Un ritardo che però Céline Geniot (Anne Coesens) in qualche modo le rimprovera, come se non avesse fatto tutto il possibile per fermare il bambino sul cornicione.
Sono dubbi e ipotesi non suffragati da nessuna prova ma che possono trovare un appiglio nella mente di un genitore devastato dal dolore per la perdita dell’unico figlio. E che pian piano sembrano scavare un fosso tra le due famiglie. Anche perché se il marito Brunelle (Mehdi Nebbou) non vuole cedere alle tentazioni dell’irragionevolezza, invece quello di Céline, Damien (Arieh Worthalter), non nasconde l’idea che la sua stessa moglie possa avere una qualche responsabilità nell’incidente, almeno quella della scarsa sorveglianza.
Iniziano così una serie di silenzi, di sguardi indagatori o interrogativi, di piccoli gesti che rimandano a un non-detto che però si fa pesantemente sentire tra le due famiglie. Cosa c’è di più insinuante di un sospetto, di un dubbio sulla fedeltà e l’amicizia dell’altro? E la macchina da presa di Masset-depasse è abilissima nel cogliere queste sfumature, questi sguardi sospettosi, questi gesti sospesi che mettono in discussione quello che fino a poco tempo prima sembrava inattaccabile. Mentre il roseo quadretto familiare dell’inizio si trasforma in un minaccioso campo di battaglia, come sarebbe piaciuto a Boileau e Narcejac e alle loro «diaboliche» invenzioni.
Dopo un mesetto le cose sembrano andare a posto, i
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Il regista è abilissimo nel cogliere quei gesti sospesi che mettono in discussione quello che fino a poco prima sembrava inattaccabile
rapporti si distendono, ma è solo apparenza: sotto i sorrisi covano ancora sospetti e paure e un minimo passo falso farà ricominciare tutto daccapo. Continuare a raccontare il film (che il regista ha sceneggiato con Giordano Gederlini e François Verjans a partire dal romanzo Derrière la haine di Barbara Abel) vorrebbe dire svelare troppo.
Spesso, di fronte a un giallo come questo, più psicologico che poliziesco, dove la musica (di Renaud Mayeur e Frédéric Vercheval: davvero inquietante) e il montaggio danno l’impressione di essere lì lì per una nuova rivelazione, spesso — dicevo — lo spettatore inizia a lasciar libera la fantasia per prevedere i possibili colpi di scena. Ma questa volta credetemi se vi dico che le svolte nel racconto sono molto più sorprendenti di qualsiasi immaginazione, tanto da far passare in secondo piano qualche implausibilità nella sceneggiatura.
Perché l’imprevedibile happy ending sulla spiaggia è in realtà il più sorprendente degli unhappy ending, che sfido chiunque che non abbia letto il libro (non ancora tradotto in Italia, comunque) a prevedere. Tanto da spiegare benissimo perché il regista sia stato chiamato a Hollywood per rifare la stessa storia, con Jessica Chastain e Anne Hathaway al posto delle due bravissime (ma ahimè poco conosciute) attrici originali.