Boxe, risorge Fury Il «re degli zingari» mette k.o. i demoni
Batte Wilder ed è campione dei pesi massimi
«E adesso?» chiesero a Osvaldo Bagnoli, che festeggiava lo scudetto vinto dal suo Verona. «Adesso ci vogliono freni belli forti» rispose. Gli stessi freni che, una trentina d’anni dopo quel 1985, Tyson Fury si rifiutava di schiacciare mentre guidava la sua Ferrari a 300 all’ora nelle buie strade statali della Scozia: le manie suicidarie, le paranoie complottiste e il disturbo ossessivo-compulsivo che lo portavano in ospedale con 220 battiti al minuto, erano stati gli effetti non tanto collaterali della sua vittoria sull’ucraino Wladimir Klitschko nella sfida per il mondiale Ibf dei pesi massimi di pugilato, anno 2015.
Effetti che Fury cercò di contenere bevendo e sniffando cocaina, fino al test antidoping fallito e a una lunga squalifica. Perciò, ora che Tyson si è preso (la notte scorsa a Las Vegas) il titolo mondiale Wbc dei pesi massimi, battendo Deontay Wilder alla settima ripresa per k.o., quanto bisognerà stare preoccupati per lui?
Anche perché, al suo fianco non c’è più Ben Davison, l’allenatore che prese Fury dal pavimento della sua stanza, su cui passava le notti a piangere e lo portò fino alla prima sfida mondiale contro Wilder, nel dicembre 2018 a Miami, finita in parità. Ma, a non molto dall’incontro di Las Vegas, Fury è passato a Javan «Sugarhill» Steward. Il quale, oltre alla dieta da 4.500 calorie al giorno, ha cambiato la strategia di Fury, partito forte come i suoi pugni, buttando giù Wilder al terzo e al quinto round. Poi, al settimo, lo stop dell’arbitro a Deontay, che perdeva sangue
Ritorno
Il britannico Tyson Fury, a sinistra, batte l’americano Deontay Wilder a Las Vegas (Epa) dall’orecchio.
E così lo statunitense Wilder, 34 anni, è stato il primo dei due a conoscere il sapore della sconfitta. A questa sfida, infatti, erano arrivati entrambi imbattuti: Fury con 29 vittorie, mentre Wilder si ferma a 42. Colpa, o merito, di un ragazzone di 31 anni, 206 centimetri e 124 kg dai calzoncini con la scritta «Gipsy King» (re degli zingari) perché i suoi genitori sono nomadi irlandesi che lo hanno chiamato Tyson così in omaggio a Iron Mike. «Combatto per quelli che si sanno rialzare» ha detto Fury dopo il trionfo, offrendo a Wilder la rivincita.
Ma all’orizzonte c’è ben di più: la sfida contro il connazionale britannico Anthony Joshua, detentore delle altre tre corone dei massimi (Wba, Wbo e Ibf), per la riunificazione definitiva. Se mai ci sarà, vorrà dire che si sbagliava Paris Fury (moglie di Tyson e madre dei loro 5 figli) a dirsi preoccupata per eventuali conseguenze in caso di sconfitta del marito. Nell’attesa di scoprirlo, sia benedetta la boxe: che ci regala storie come questa. E sia maledetta, perché da troppi anni ce ne regala così poche.