Corriere della Sera

Boxe, risorge Fury Il «re degli zingari» mette k.o. i demoni

Batte Wilder ed è campione dei pesi massimi

- Tommaso Pellizzari

«E adesso?» chiesero a Osvaldo Bagnoli, che festeggiav­a lo scudetto vinto dal suo Verona. «Adesso ci vogliono freni belli forti» rispose. Gli stessi freni che, una trentina d’anni dopo quel 1985, Tyson Fury si rifiutava di schiacciar­e mentre guidava la sua Ferrari a 300 all’ora nelle buie strade statali della Scozia: le manie suicidarie, le paranoie complottis­te e il disturbo ossessivo-compulsivo che lo portavano in ospedale con 220 battiti al minuto, erano stati gli effetti non tanto collateral­i della sua vittoria sull’ucraino Wladimir Klitschko nella sfida per il mondiale Ibf dei pesi massimi di pugilato, anno 2015.

Effetti che Fury cercò di contenere bevendo e sniffando cocaina, fino al test antidoping fallito e a una lunga squalifica. Perciò, ora che Tyson si è preso (la notte scorsa a Las Vegas) il titolo mondiale Wbc dei pesi massimi, battendo Deontay Wilder alla settima ripresa per k.o., quanto bisognerà stare preoccupat­i per lui?

Anche perché, al suo fianco non c’è più Ben Davison, l’allenatore che prese Fury dal pavimento della sua stanza, su cui passava le notti a piangere e lo portò fino alla prima sfida mondiale contro Wilder, nel dicembre 2018 a Miami, finita in parità. Ma, a non molto dall’incontro di Las Vegas, Fury è passato a Javan «Sugarhill» Steward. Il quale, oltre alla dieta da 4.500 calorie al giorno, ha cambiato la strategia di Fury, partito forte come i suoi pugni, buttando giù Wilder al terzo e al quinto round. Poi, al settimo, lo stop dell’arbitro a Deontay, che perdeva sangue

Ritorno

Il britannico Tyson Fury, a sinistra, batte l’americano Deontay Wilder a Las Vegas (Epa) dall’orecchio.

E così lo statuniten­se Wilder, 34 anni, è stato il primo dei due a conoscere il sapore della sconfitta. A questa sfida, infatti, erano arrivati entrambi imbattuti: Fury con 29 vittorie, mentre Wilder si ferma a 42. Colpa, o merito, di un ragazzone di 31 anni, 206 centimetri e 124 kg dai calzoncini con la scritta «Gipsy King» (re degli zingari) perché i suoi genitori sono nomadi irlandesi che lo hanno chiamato Tyson così in omaggio a Iron Mike. «Combatto per quelli che si sanno rialzare» ha detto Fury dopo il trionfo, offrendo a Wilder la rivincita.

Ma all’orizzonte c’è ben di più: la sfida contro il connaziona­le britannico Anthony Joshua, detentore delle altre tre corone dei massimi (Wba, Wbo e Ibf), per la riunificaz­ione definitiva. Se mai ci sarà, vorrà dire che si sbagliava Paris Fury (moglie di Tyson e madre dei loro 5 figli) a dirsi preoccupat­a per eventuali conseguenz­e in caso di sconfitta del marito. Nell’attesa di scoprirlo, sia benedetta la boxe: che ci regala storie come questa. E sia maledetta, perché da troppi anni ce ne regala così poche.

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