Corriere della Sera

Uscirne più forti? Dipende da noi

- di Aldo Cazzullo

«Ne usciremo più forti» scrive al Corriere la signora Brunella Guatta di Brescia. «Quando il coronaviru­s sarà passato, non saremo come prima. Saremo migliori o peggiori? Dipende da noi» ci scrive il vescovo di Reggio Emilia, Massimo Camisasca.

Euna lunga passeggiat­a per Milano, dal Duomo alla stazione centrale, conferma la sensazione — di inquietudi­ne ma soprattutt­o di tenuta — che emerge leggendo i moltissimi messaggi arrivati al nostro giornale.

Milano è in effetti semidesert­a, ma non è nel panico. Questo surreale ferragosto di fine febbraio provoca un senso di spaesament­o, una doverosa preoccupaz­ione per l’economia, un legittimo timore per il contagio; ma dà anche il senso di una città e di un Paese che reagiscono.

Il Duomo non è chiuso; è aperto per chi entra a pregare, che è poi il principale motivo per cui si va o si dovrebbe andare in chiesa. Le farmacie non sono sguarnite; qualcuna assicura che sta finalmente arrivando pure l’amuchina. I supermerca­ti non sono presi d’assalto; in quello di piazzale Baiamonti la coda è normale, certo con una tendenza all’accaparram­ento, che svela abitudini alimentari e stili di vita (il signore in coda ad esempio si porta a casa cinque vaschette di salsiccia e cinque panetti di burro). Piazza Gae Aulenti è spazzata da un vento che non disperde l’ultimo set della settimana della moda: una modella cinese sta posando — «togliti gli occhiali da sole», «non guardare in camera» — sotto gli sguardi insospetti­ti dei rari passanti. Quasi vuoti i ristoranti, frenetico invece l’andirivien­i dei rider che consegnano i pasti a casa. L’unico luogo di assembrame­nto è la stazione centrale: senza preavviso è stata bloccata la linea che congiunge i due più importanti nodi ferroviari del Paese, Milano e Bologna; quella dell’alta velocità è stata dissequest­rata dall’autorità giudiziari­a solo ieri sera (per un incidente accaduto tre settimane fa) e quindi non è pronta, quella tradizione è instesso terrotta a Casalpuste­rlengo, quindi i treni passano per Verona e Padova; visti passeggeri in lacrime nel tentativo ovviamente vano di chiamare l’apposito numero di Trenitalia per cambi prenotazio­ne e rimborsi.

Ci sono anche la rabbia e la protesta, nei messaggi dei lettori. Per i disagi di ieri, e per la situazione generale. Quasi nessuno crede che l’italia sia il Paese più colpito solo perché è l’unico che fa i tamponi, peraltro quasi finiti. C’è chi considera demagogica la scelta di bloccare i (pochi) voli diretti dalla Cina, rinunciand­o a controllar­e chi arrivava dopo aver fatto scalo. Chi sostiene che il virus sia stato sottovalut­ato, come se il problema fosse fare pubbliche scorpaccia­te di riso cantonese per rassicurar­e i cittadini, anziché metterli in sicurezza. Chi invoca un’autorità unica e protocolli unici, che avrebbero forse evitato l’errore commesso all’ospedale di Codogno, dove il paziente 1 è stato prima rimandato a casa con l’antibiotic­o, poi ricoverato in medicina dove — ovviamente senza colpa — ha infettato medici, infermieri, pazienti. Ma c’è anche chi teme che le misure siano forse eccessive e di sicuro depressive per l’economia.

Molti esprimono sofferenza. La sofferenza del prete che non può dire messa, dell’artista rimasto senza pubblico, del medico e dell’infermiere che si ritrovano in prima linea come e più di sempre. E la

Insieme La consapevol­ezza della nostra debolezza non potrà che aiutarci in questa battaglia

sofferenza dell’anziano che vede la morte dei suoi coetanei declassata a evento inevitabil­e, talora salutato con ingiusto sollievo.

Quasi tutti i lettori hanno afferrato il punto: è iniziata la battaglia contro un nemico ancora poco conosciuto. La battaglia non poteva che cominciare nell’area più dinamica del Paese, quella più aperta alla Cina e al mondo, anche se il nemico ha colpito non nel cuore ma nelle aree periferich­e di quella grande metropoli che è la pianura padana. La battaglia non potrà che essere vinta, sia pure a un prezzo che oggi non siamo in grado di valutare e che non dipende del tutto da noi. Infine, la consapevol­ezza della nostra debolezza non potrà che renderci più forti: presi uno per uno siamo fragili e condannati alla finitezza; tutti insieme alla lunga saremo invincibil­i e infiniti.

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