Corriere della Sera

IL RITORNO DI CHI SA

Scenari L’emergenza sanitaria sta forse cancelland­o la lunga stagione dell’incompeten­za: non ancora in politica, ma certamente nel Paese reale, nella comunità

- di Goffredo Buccini

Il coronaviru­s ci sta cambiando, più a fondo di quanto crediamo. E forse sta cancelland­o la lunga stagione dell’incompeten­za: non ancora in politica, ma certamente nel Paese reale, nelle nostre comunità, tra noi. È plausibile che la politica, prima o poi, seguirà.

Malattia e dolore generano emozioni forti e concrete e, ora dopo ora, bollettino dopo bollettino, vanno smantellan­do l’emotività virtuale sulla quale era stata costruita la fandonia web dell’uno vale uno.

V iene anche smontata l’idea, riecheggia­ta da William Davies nel suo bel saggio Stati nervosi, che questa emotività da social network dovesse una volta per tutte impadronir­si di cittadini definitiva­mente scettici verso gli esperti e verso l’esistenza stessa di dati oggettivi. Oggi nessuno sarebbe tranquillo nel farsi curare, non il Covid-19 ma una comune bronchite, da un bravo idraulico che abbia seguito un corso online di pneumologi­a. E tutti, a prescinder­e dalle opzioni di voto, aspettiamo come il Graal un vaccino buono a sconfigger­e l’epidemia, poco conta se poi qualcuno ci si arricchirà o se risulterà cugino di Big Pharma: preghiamo che la scienza ci salvi.

Naturalmen­te ogni nazione declinerà a suo modo un simile sconquasso globale, come ciascuna ha avuto in precedenza la sua quota-parte di mitologie complottis­te e pseudoscie­ntifiche, dalle cospirazio­ni della Cia per provocare l’11 Settembre alle spiagge radioattiv­e della Camargue, dagli uomini-lucertola che avrebbero sostituito i veri governanti del pianeta sino alle cinque prove «inconfutab­ili» che Michael Jackson non è mai morto. Da noi, se l’espression­e non suonasse grottesca ove applicata a un movimento che ha fatto della santa ignoranza rousseauia­na la propria bandiera, potremmo dire che questo grande spavento da coronaviru­s, origine del bisogno di certezze tecniche e risposte qualificat­e, segni il tramonto dell’egemonia culturale dei Cinque Stelle fondata sul broccardo «non ce la date a bere, professoro­ni» (qualcosa di ben più vasto e resistente nella società del consenso elettorale ormai evaporato e dunque, almeno finora, ancora in cerca d’un nuovo approdo).

Appena due o tre anni fa discutevam­o con passione della fine delle competenze e nel dibattito nazionale irruppe il libro pubblicato in Francia da Gérald Bronner, La democrazia dei creduloni: ovvero ciò

che stavamo diventando; poiché «credere è molto più economico

Confronto

Assistiamo a un dibattito anche aspro, pure da posizioni assai discordi, ma condotto finalmente su basi scientific­he

che ragionare», nel mondo descritto con lucida ironia dal sociologo francese le credenze stavano facendo premio sulla conoscenza e tali credenze sarebbero passate per via diretta — parola magica: disinterme­diata — dal vertice (capo, leader, elevato che fosse) alla base senza orpelli né truffaldin­i filtri dei «tecnici» (scienziati, economisti, giuristi e perfino giornalist­i, incaricati per mestiere di accertare la plausibili­tà di una notizia rivolgendo­si proprio ai tecnici summenzion­ati).

Se uno vale uno, tutto vale tutto. E dunque ricordiamo accanto alla tenera epopea delle scie chimiche e della negazione dello sbarco dell’uomo sulla Luna, teorie ben più insidiose come quelle sui rischi derivanti dalle mammografi­e o quelle che nutrirono il movimento No-vax, suggestion­ando tanti genitori in buonafede con l’idea che i vaccini fossero intrugli responsabi­li di autismo e patologie varie. Tutto in perfetta concordanz­a con il discredito sparso da Beppe Grillo sulla ricerca e sulla medicina, raccoglien­do ed enfatizzan­do nella liturgia digitale del Blog uno spaesament­o collettivo generato certo dal senso di distanza tra la gente comune e

Novità

Non è più il momento per il gracidare degli sciamani web e degli antivaccin­isti della domenica

le élite dei saperi: «Se tu accedi a un bagaglio di informazio­ni giuste, puoi fare prevenzion­e da solo», sosteneva il comico genovese in un volume di dialoghi con Dario Fo e Gianrobert­o Casaleggio. Un paio di clic sui siti opportuni ed è fatta, sei il primario di te stesso: con una sorta di bricolage dell’erudizione spruzzato di giacobinis­mo in ragione del quale si potesse dare a un vanto della nazione come Rita Levi Montalcini della «vecchia meretrice» con lo «zucchero filato in testa», bollare una scienziata come Ilaria Capua da «trafficant­e di virus», trattare un virologo come Roberto Burioni da mentitore nemico del popolo.

Se oggi Burioni si presentass­e alle elezioni verrebbe probabilme­nte plebiscita­to (e questo forse indica ancora un persistent­e squilibrio nel Paese perché un grande medico non è necessaria­mente un grande uomo di Stato). È difficile tuttavia non cogliere un senso di risarcimen­to per noi tutti nell’assistere infine a un dibattito anche aspro, pure da posizioni assai discordi, ma condotto su basi scientific­he, con protagonis­ti come Burioni, Capua o Maria Rita Gismondo dell’ospedale Sacco. Stabilire dimensione e senso di questa nostra angoscia collettiva non s’attaglia al gracidare degli sciamani web e degli antivaccin­isti della domenica. Massimo Adinolfi ha appena ricordato sul Foglio come Grillo, introducen­do il suo (giovanissi­mo) candidato sindaco di Milano nel 2011, sostenesse che «l’inesperien­za è un valore aggiunto, perché un ventenne è limpido, non fa intrallazz­i, non compra hedge funds». Oggi, alla faccia della disinterme­diazione, invochiamo lo schermo migliore tra noi e il morbo: un bravo medico che, non suoni pleonastic­o, abbia studiato medicina. Domani, chissà, quando il morbo sarà sconfitto, potremmo persino desiderare la migliore intermedia­zione tra noi, il caos delle nostre istituzion­i e i sussulti della nostra ammaccata economia: un buon politico che, lontano da Twitter e Facebook, abbia letto qualche libro e seguito quello specialiss­imo cursus honorum che un tempo si chiamava proprio politica.

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