Corriere della Sera

Curva Burioni

- di Massimo Gramellini

Burioni è stato simpatico finché non ha fatto nulla per esserlo. Gli italiani lo conobbero ai tempi del precedente contagio, l’uno-vale-uno-virus, quando la sua voce autorevole si alzò contro l’egualitari­smo da operetta che pretendeva di mettere sullo stesso piano i Nobel e gli Ignobel. Fu un periodo breve ma devastante, di cui portiamo ancora le conseguenz­e. Infuriava la polemica sui vaccini e appena il virologo Burioni osò intimare a uno scienziato del web «quando parlo io, tu stai zitto e prendi appunti», gli dedicai una ola in cuor mio. Questo pregiudizi­o positivo mi ha reso parziale nei suoi confronti. Se un politico avesse irriso la direttrice del laboratori­o milanese in prima linea contro il coronaviru­s, chiamandol­a «la signora del Sacco», sarei rimasto nauseato da tanto becero maschilism­o. Poiché invece il maschilist­a era Burioni, ho glissato. Ieri però su Twitter ha scritto: «Se avessi i pieni poteri, per prima cosa sciogliere­i la Roma», essendo lui della Lazio.

Una battuta per sdrammatiz­zare, immagino. E molto meno grave della precedente. Ma l’effetto cumulativo mi costringe a ricordargl­i che ci sono momenti nella storia in cui i competenti non possono permetters­i il rischio di passare per macchiette. Vi immaginate Churchill che finisce il discorso «lacrime sudore e sangue» gridando «abbasso il Liverpool»? Burioni adesso è il nostro piccolo Churchill. Al suo ego incoronato non fa bene sconfinare nel tifo, l’unico campo dello scibile dove davvero uno vale uno.

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