Curva Burioni
Burioni è stato simpatico finché non ha fatto nulla per esserlo. Gli italiani lo conobbero ai tempi del precedente contagio, l’uno-vale-uno-virus, quando la sua voce autorevole si alzò contro l’egualitarismo da operetta che pretendeva di mettere sullo stesso piano i Nobel e gli Ignobel. Fu un periodo breve ma devastante, di cui portiamo ancora le conseguenze. Infuriava la polemica sui vaccini e appena il virologo Burioni osò intimare a uno scienziato del web «quando parlo io, tu stai zitto e prendi appunti», gli dedicai una ola in cuor mio. Questo pregiudizio positivo mi ha reso parziale nei suoi confronti. Se un politico avesse irriso la direttrice del laboratorio milanese in prima linea contro il coronavirus, chiamandola «la signora del Sacco», sarei rimasto nauseato da tanto becero maschilismo. Poiché invece il maschilista era Burioni, ho glissato. Ieri però su Twitter ha scritto: «Se avessi i pieni poteri, per prima cosa scioglierei la Roma», essendo lui della Lazio.
Una battuta per sdrammatizzare, immagino. E molto meno grave della precedente. Ma l’effetto cumulativo mi costringe a ricordargli che ci sono momenti nella storia in cui i competenti non possono permettersi il rischio di passare per macchiette. Vi immaginate Churchill che finisce il discorso «lacrime sudore e sangue» gridando «abbasso il Liverpool»? Burioni adesso è il nostro piccolo Churchill. Al suo ego incoronato non fa bene sconfinare nel tifo, l’unico campo dello scibile dove davvero uno vale uno.