Il genoma in vendita a 150 dollari
Qualche anno fa 23&me, società collegata a Google, lanciò un’offerta «commerciale» irresistibile: spediteci la vostra saliva e per 150 dollari troveremo i vostri parenti «genetici» in giro per il mondo, dovessero pure essere finiti in Australia nell’ottocento come prigionieri o guardie. Raccolse 3 milioni di tracce genomiche umane. Oggi la diffusione del coronavirus e la ricerca urgente di un vaccino ripone al centro dell’attenzione i dati: chi li controlla? Di chi sono? Chi ne regola la raccolta? Posso richiederli indietro? C’è una evidente asimmetria. La società Regeneron ha collezionato mezzo milione di sequenze genetiche di individui. Legalmente. In Italia per poche tracce genetiche della popolazione di centenari dell’area blu sarda la questione è finita in tribunale. E come se non bastasse i Dna sono andati persi. Per comprendere la rivoluzione del genoma è sufficiente ricordare che il primo sequenziamento di un Dna umano costò oltre un miliardo. Oggi per un’analisi completa si spendono mille dollari (quello di 23&me era un test parziale). Ma il mercato si attende che la tecnologia possa essere presto accessibile a 100 dollari. Sotto la soglia dei cento dollari mapparsi il genoma sarà in sostanza come oggi farsi le analisi del sangue. Il cambio culturale sarà enorme: a quel punto avremo dei big data genetici e tutto potrà partire dalle informazioni, mentre oggi partiamo dal problema per risalire faticosamente la china e cercare una soluzione che soddisfi statisticamente la nostra tesi. Si potranno ottenere ulteriori progressi scientifici e sulla salute umana? La risposta è certamente positiva. Ma il problema a quel punto è se, come i 3 milioni di 23&me o i 500 mila di Regeneron, avremo già dato via per un pugno di dollari le delicate e preziose informazioni personali che ci riguardano. Chiudete gli occhi e immaginate una Facebook che invece delle vostre preferenze collezioni il vostro Dna. Ora apriteli perché non è così azzardato pensare che possa accadere sotto il nostro naso ingenuo. Non si tratta di guardare con paura o sospetto a tecnologie su cui si basa l’idea stessa di medicina personalizzata. Sarebbe come temere alla fine dell’ottocento le analisi del sangue. Ma di capire come offrire il Dna alla scienza senza cadere nelle proposte commerciali irresistibili.