L’ANIMALE SOCIALE
«Limitare le relazioni sociali». Ce lo dicono gli esperti, salvo poi aggiungere: «Continuate la vita di sempre». Ma è possibile? La nostra «vita di sempre», cioè dei nostri tempi, è intessuta di relazioni sociali come mai prima nella storia dell’umanità. Non c’è più niente che si possa fare, nella nostra «vita di sempre», senza incontrare altri nostri simili.
Non si può far niente senza parlare ad altri esseri umani a una distanza inferiore ai due fatidici metri, senza stringere loro la mano e magari scambiarsi all’italiana un bacio sulla guancia. E quel che è più paradossale è che credevamo di essere invece diventati la società dell’individualismo, del solipsismo, dell’isolamento indotto da social e da smartphone, da Facebook e da videogiochi; e ce ne lamentavamo a ogni piè sospinto, rimpiangendo il mitico tempo in cui la gente usciva di casa e incontrava altra gente in carne e ossa. Che contrappasso. In realtà siamo infinitamente più «sociali» che «social». Le relazioni sono il tratto distintivo della nostra vita. Il nostro lavoro è fatto di riunioni, meeting, briefing. Con tutto il magnificare le «call conference», che poi non sono altro che conferenze fatte col telefono, alla fine se dobbiamo stringere un affare, trattare un accordo, litigare con un collega, lo facciamo di persona, perché è un’altra cosa. E allora prendiamo il treno, o l’aereo, ci stipiamo in luoghi affollati, pieni di sconosciuti ricchi di relazioni sociali come noi. È stato anzi notato, probabilmente a ragione, che la diffusione del morbo nelle regioni settentrionali, Lombardia e Veneto su tutte, deriva forse proprio dalla intensa attività lavorativa di queste zone, dall’intraprendenza dei commerci e dell’impresa.
Ma anche il nostro tempo libero è fatto di cene, cocktail, pranzi, caffè consumati insieme per far quattro chiacchiere, è un vortice di relazioni sociali, anche quando sarebbero inutili, e perfino quando non sono così piacevoli, e lo facciamo per dovere sociale, per ipocrisia sociale o per ambizione sociale. Per non parlare
della parte culturale della «vita di sempre». Mostre, teatri, cinema, presentazioni di libri. In tutt’italia, dalle metropoli alla provincia, comuni, fondazioni, associazioni culturali, istituti scolastici, Università, organizzano una trama di incontri sempre affollati, perché nemmeno la tv è tutto nella vita della gente, settimana di Sanremo a parte, e il ritmo di disdette e cancellazioni di questi giorni dà il senso di una sconcertata emergenza.
Tutto questo è una ricchezza dell’italia. È uno stile di vita, che di solito viene esaltato come abitudine al contatto umano, dimestichezza con la dimensione sociale dell’esistenza, che ci deriva dall’epoca comunale, con le sue piazze grandi davanti al broletto o alla cattedrale, e forse ancora prima, dal foro romano, sede di commercio e pettegolezzi e naturalmente di politica, il più importante dei pettegolezzi. Non siamo fatti per lo studio on line nelle università telematiche, e anzi molte ricerche dicono che la concentrazione fisica di cervelli, l’insegnamento «frontale», è essenziale per l’apprendimento, per la ricerca, per la scoperta, per l’intelletto. Per questo la chiusura delle scuole e degli atenei è, tra tutte, la più angosciante delle misure fin qui prese, perché gli «studia humanitatis» li abbiamo inven
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La storia
La civiltà comunale conobbe la peste del ’300 e le sopravvisse
tati noi, insieme al titolo di «universitas».
Oggi questa nostra storica ricchezza è anche la via sicura del contagio, soprattutto quando non si sa più chi lo porta, perché in un ospedale, il luogo che dovrebbe essere il più sicuro di tutti in quanto a virus, se ne è perso il filo. Ma dubito che le strade dei nostri paesi e città potranno mai trasformarsi nello scenario distopico di un film catastrofista di Hollywood. La civiltà comunale conobbe la peste del ’300, importata forse dal nord della Cina, e le sopravvisse. Il nostro stile di vita produrrà gli anticorpi necessari. Rispettare le regole e le indicazioni dell’autorità è giusto e necessario. Ma per alzare la testa, non per piegarla, e riprendere la nostra «vita di sempre» al più presto possibile.