Corriere della Sera

Burioni e le scuse contagiose

Il virologo si scusa per aver offeso la collega del Sacco «Solidariet­à a medici e infermieri in prima linea È mancata una linea comune tra i Paesi Ue: un errore»

- di Massimo Gramellini

Dopo avere letto il caffè che lo pizzicava per le battute sulla «signora del Sacco» e lo scioglimen­to della Roma, il professor Burioni ha chiamato per ringraziar­e. Ne è uscito un caffè più lungo del solito.

Di solito il bersaglio delle critiche si arrabbia. Lei invece sembra contento. Dove ho sbagliato?

«Sono io che ho sbagliato. Ho visto un post della dottoressa Gismondo che citava un numero palesement­e erroneo. Non avrei dovuto reagire chiamandol­a in quel modo. Non avrei proprio dovuto risponderl­e in pubblico».

La dottoressa l’ha presa bene. Ha detto: «Burioni? Lasciamolo alla sua gloria».

«Avrei dovuto scriverle in privato e non l’ho fatto. O meglio, l’ho fatto poco fa. Le ho appena mandato una mail di scuse. Lei ha sbagliato un numero e io una parola. Ma sono giorni così, siamo tutti sotto pressione. Pensi che domenica non sono neanche riuscito a vedere la Lazio».

Eccolo, il luminare ultrà. A chi su Twitter auspicava che le fossero offerti i pieni poteri, ha risposto che per prima cosa avrebbe sciolto la Roma.

«Era solo una battuta per ribadire che non aspiro a incarichi pubblici. Sono laziale dai tempi di Chinaglia. Mi piace la rivalità calcistica, lo sfottò simpatico, la goliardia. Vede, fino a 52 anni ero un ricercator­e e basta. Poi la polemica con i No Vax mi ha proiettato in un mondo per il quale non avevo ancora preso il vaccino. Ci sono cose che non posso più permetterm­i».

Per esempio?

«L’ironia».

L’uso dei social Sento il dovere di usare i canali di fiducia che ho aperto con le persone per un’operazione verità

Baci e abbracci

Dobbiamo fare lo sforzo di trasmetter­e affetto al prossimo rinunciand­o alla fisicità

La dottoressa Gismondo ha usato l’ironia per dipingerla come un narciso.

«Per tranquilli­zzare le persone bisogna raccontare quello che accade con chiarezza e con calma. Se dici che è solo un raffreddor­e e poi però chiudi le scuole, generi panico».

Che è un po’ quello che sta succedendo.

«Mi lasci esprimere solidariet­à a tutti i medici e gli infermieri che lavorano in prima linea. Io sono nelle retrovie, ma loro sentono fischiare i proiettili. Questa è una emergenza nazionale, perché non è limitata a una porzione di territorio come un terremoto. Perciò richiede un coordiname­nto».

Qualcuno ha proposto lei come commissari­o straordina­rio.

«È stato un politico, non ricordo nemmeno di quale partito. L’ho ringraziat­o per la stima, ma io sono più utile altrove».

Cioè in tv e sui social.

«Anche. In un momento in cui serpeggia il panico, sento il dovere di usare i canali di fiducia che ho aperto con le persone in questi anni per compiere un’operazione di verità».

Chi l’ha delusa di più finora: il governo o gli enti locali?

«L’europa. Sono cresciuto con il mito degli Stati Uniti d’europa. Vedere che non riesce a gestire neanche questa emergenza… Il virus non è una questione divisiva come i migranti. Bastava fissare una linea comune — stesse regole a Parigi e a Milano — e ci si sarebbe tranquilli­zzati l’un l’altro. Non si possono chiudere frontiere che non ci sono più».

In Italia, dicono, la situazione è peggiore che altrove.

«Da noi è sfuggito il paziente zero. Ma se troviamo più casi è perché ne cerchiamo di più. Mi conforta che non stiano emergendo focolai secondari: significa che la crisi è circoscrit­ta».

Lei crede alla storia dell’esperiment­o militare cinese che spopola sul web?

«Di questo virus sappiamo ancora pochissimo. Non sappiamo neppure se chi guarisce può infettarsi di nuovo. Ma non dobbiamo riempire i vuoti di conoscenza con le scemenze. Il virus è passato dal pipistreln­e. lo all’uomo, questo è sicuro».

La prima malata cinese in Italia è guarita.

«Ma prima di guarire è stata ricoverata quasi un mese. A preoccupar­mi è proprio la saturazion­e degli ospedali».

Le hanno dato del duro in un Paese di buonisti.

«L’isolamento non ha nulla a che vedere con il razzismo, è solo un mezzo per tranquilli­zzare le persone».

La paura le fa paura?

«La paura è un virus e il suo vaccino è l’informazio­Se un bambino teme che nella stanza ci sia un mostro, bisogna accendere la luce. Io sono il primo a dire che il coronaviru­s non è un raffreddor­e. Ma questo non significa che sia la peste».

Però ci stiamo comportand­o tutti come se lo fosse.

«I virus sono maledetti perché per spostarsi usano quanto di più bello esista: i baci, gli abbracci, la vicinanza tra le persone. Dobbiamo fare uno sforzo culturale: trasmetter­e affetto al nostro prossimo rinunciand­o alla fisicità».

Anche al sesso?

«Non esageriamo. Alludo ai rapporti ravvicinat­i con gli estranei. Più del sessanta per cento delle infezioni passa dalle mani. Lavarsele serve a ridurre i numeri del contagio. Ho letto sul Corriere il bellissimo articolo dello scrittore e fisico Paolo Giordano sulla matematica dell’epidemia. Ha ragione, saremo fuori pericolo quando i potenziali “spanditori” del virus contageran­no meno di una persona a testa. Avvenne lo stesso con la Sars».

Il vescovo di Torino si è lamentato delle restrizion­i imposte ai fedeli. Le chiese sono vuote e i supermerca­ti pieni, ha detto.

«Durante la Spagnola un vescovo organizzò una procession­e e tutti baciarono la statua di San Rocco, protettore dei contagiati: la mortalità in quella diocesi triplicò. Meglio pregare il Signore a casa propria. Detto questo, è una follia svuotare i supermerca­ti, facendo addirittur­a incetta di acqua potabile!».

Lei predica l’isolamento. Ma come si vive in quarantena?

«La tecnologia viene in aiuto. Possiamo connetterc­i, telefonare, fare le videochiam­ate…».

Magari aprire un libro, nei ritagli di ansia.

«Il miglior antidoto è leggere i Promessi Sposi. Specie il capitolo sulla peste, e specie la pagina dove un medico viene maltrattat­o perché dice la verità».

Quindi, ha promesso: basta battute sulla Roma finché il coronaviru­s non sarà debellato.

«Se vinciamo il virus, sarò così felice che abbraccerò…»

Francesco Totti.

«Non lo conosco. Diciamo che inviterò a cena Totto Franceschi, un laziale che mi scrive sempre su Twitter».

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Roberto Burioni
L’esperto Roberto Burioni

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