Marco van Basten «Ho amato tanto Milano ma non Sacchi»
L’ex fuoriclasse olandese del Milan si racconta su 7 domani in edicola: «Da voi sono stato felice. Ma Arrigo non era onesto nei rapporti umani»
In quello stadio di San Siro che questa sera ospita, a porte chiuse, il ritorno di Europa League tra Inter e Ludogorets, un fuoriclasse olandese, il milanista Marco van Basten, ha scritto quasi tutta la sua carriera. «A Milano mi sentivo come se fossi parte della famiglia. Insieme abbiamo vissuto una vita intera. Mi avete visto nascere, come giocatore e come uomo. Mi avete visto crescere. E purtroppo avete visto la mia fine». Così il Cigno di Utrecht ha riassunto la sua esperienza rossonera in una lunga chiacchierata con Marco Imarisio, diventata la copertina di 7 in edicola domani. L’occasione dell’incontro è stata l’uscita in Italia della sua biografia, Fragile (Mondadori), in cui van Basten ripercorre anche gli altalenanti rapporti con i due allenatori che l’hanno reso grande, Johan Cruijff e Arrigo Sacchi.
Di quest’ultimo dice: «Non c’è mai stato feeling personale tra me e lui. Non mi ha mai dato l’impressione di essere onesto nei rapporti umani. Quando non era contento di come ci allenavamo, se la prendeva con i giovani, con i più deboli, che magari invece erano in testa a tirare il gruppo». Poi il tre volte Pallone d’oro torna su quella caviglia che l’ha costretto a chiudere la carriera a soli 28 anni («Ero convinto che sarei durato per sempre, dicevo ai miei compagni che avrei smesso a 38 anni») e ancora sulla depressione che l’ha colpito subito dopo l’addio al calcio giocato («All’inizio non capivo. Ero troppo concentrato sul mio stare male. Mi chiedevo perché quella sofferenza dovesse toccare proprio a me. Non ho mai avuto una risposta»). Infine, spiega quando comprese che anche la sua carriera di allenatore era arrivata al capolinea: «Tornai all’ajax e un ragazzo mi provocò. Sei van Basten, mi disse passandomi la palla, fammi vedere cosa sai fare. Ma io ormai non potevo più muovere la caviglia. Chi era? Sono sicuro che lo conoscete. Si chiamava Zlatan, di cognome Ibrahimovic».
Continuando nello sfoglio, su 7 di domani ci sono anche dieci pagine-portfolio dedicate ai dinosauri.
Gli animali indubbiamente più affascinanti, quelli che continuano senza sosta a conquistare, generazione dopo generazione, le mensole delle camerette di tutti i bambini. E che, nei casi fotografati e raccontati da Gabriele Galimberti e Juri De Luca, ora conquistano anche i salotti, i garage, gli studi di grandi collezionisti. Uomini e donne che vivono in Italia, Francia, Regno Unito e Stati Uniti e che, a volte tra le stesse mura di casa, custodiscono come soprammobili teschi di mesosauro, T-rex o triceratopo, scheletri di allosauro e othinielosauro.
Dal passato (remoto) al futuro: la sezione blu del settimanale si apre con il ritratto di 14 «afro ascendenti», ovvero giovani che si sono affermati fuori dal loro continente di origine pur mantenendo uno stretto legame con il luogo dove è nata la loro famiglia e conservando un biglietto aereo sempre pronto in tasca.
Infine, si arriva nell’area di colore senape del magazine, dove c’è un ampio spazio dedicato ai super food, i cibi più indicati da consumare prima e dopo un allenamento sportivo. A suggerire menù bilanciati che danno energia e piatti sfiziosi è lo chef friulano Andrea Berton, ex sciatore e grande appassionato di corsa. «Il mio piatto-carburante sono gli spaghetti al lime», precisa il cuoco stellato. «Se mi alleno la mattina, inizio la giornata con una banana e un centrifugato. Per rimanere leggeri, si può scegliere il salmone a vapore oppure messo sotto sale e aromi per insaporirlo. Ma l’ideale, se freschissimo, è mangiarlo crudo. Magari accompagnato da una porzione di legumi».