Falliscono i colloqui a Ginevra. E in Libia si allontana la tregua
In Libia la parola torna alle armi. Il cessate il fuoco resta una chimera. A dire il vero, i cannoni non avevano mai smesso di tuonare nelle ultime settimane, anche se i canali della diplomazia erano rimasti aperti. Ma ieri il fallimento dei negoziati di Ginevra riporta l’attenzione alle forze combattenti sul campo. I rappresentanti del parlamento di Tobruk, legati all’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, se ne sono tornati a casa prima di iniziare i lavori. Tanti altri inviati dalle maggiori tribù del Paese, oltre a quelli delle milizie che fanno capo al governo di Fayez
Sarraj a Tripoli, neppure si erano presentati. I due campi si accusano a vicenda. «Non se ne fa nulla se le forze militari di Haftar non tornano alle posizioni di partenza precedenti il lancio della loro aggressione lo scorso 4 aprile», dicono a Tripoli. «I colloqui di Ginevra erano stati preparati con un’agenda poco chiara, non sono in grado di fermare il terrorismo delle milizie di Tripoli e Misurata, che vanno smantellate», ribadiscono i portavoce di Haftar a Bengasi. Cade così l’intera impalcatura negoziale architettata dall’inviato speciale dell’onu per la Libia, Ghassan Salamé. Sin da novembre questi andava sostenendo che, dopo la Conferenza internazionale di
Berlino, il 19 gennaio, dove si era lavorato per cercare di bloccare l’invio di armi e soldati stranieri nello scenario libico, a Ginevra si sarebbe mediato per mettere d’accordo direttamente i libici tra loro. Ma il flop è totale. L’embargo militare non funziona, mentre nella regione di Tripoli l’offensiva di Haftar resta minacciosa. «Social e media libici non prestano alcuna attenzione agli esiti di Ginevra. Nessuno credeva potessero sortire alcun risultato. Attorno a Misurata i soldati di Haftar si sono ritirati verso Sirte, qui il fronte è calmo. C’è però preoccupazione per i bombardamenti che hanno ripreso con durezza sulla capitale, specie nei quartieri di Abu Selim, Salahaddin e Ain Zara causando morti e feriti», sostengono i giornalisti locali. Impossibile non notare l’assenza dei partner europei. «Manca la comunità internazionale. La nostra instabilità interna dovrebbe comunque preoccupare gli europei perché favorisce le emigrazioni illegali», torna a puntualizzare Serraj. A complicare lo scenario si aggiungono le frizioni tra Mosca, che sostiene Haftar, e Ankara alleata di Serraj. Nelle ultime ore lo stesso Erdogan ha confermato la morte di due soldati turchi nella regione di Tripoli. Tra l’altro, l’invio di «volontari» siriani tra i rinforzi turchi crea forti tensioni tra le milizie libiche legate al ministro degli Interni Fathi Bishaga e quelle, come la potente Al Nawasi, contrarie alla presenza di stranieri. Un qualche spiraglio potrebbe aversi nell’incontro Putin-erdogan il 5 marzo.