Corriere della Sera

Falliscono i colloqui a Ginevra. E in Libia si allontana la tregua

- Di Lorenzo Cremonesi

In Libia la parola torna alle armi. Il cessate il fuoco resta una chimera. A dire il vero, i cannoni non avevano mai smesso di tuonare nelle ultime settimane, anche se i canali della diplomazia erano rimasti aperti. Ma ieri il fallimento dei negoziati di Ginevra riporta l’attenzione alle forze combattent­i sul campo. I rappresent­anti del parlamento di Tobruk, legati all’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, se ne sono tornati a casa prima di iniziare i lavori. Tanti altri inviati dalle maggiori tribù del Paese, oltre a quelli delle milizie che fanno capo al governo di Fayez

Sarraj a Tripoli, neppure si erano presentati. I due campi si accusano a vicenda. «Non se ne fa nulla se le forze militari di Haftar non tornano alle posizioni di partenza precedenti il lancio della loro aggression­e lo scorso 4 aprile», dicono a Tripoli. «I colloqui di Ginevra erano stati preparati con un’agenda poco chiara, non sono in grado di fermare il terrorismo delle milizie di Tripoli e Misurata, che vanno smantellat­e», ribadiscon­o i portavoce di Haftar a Bengasi. Cade così l’intera impalcatur­a negoziale architetta­ta dall’inviato speciale dell’onu per la Libia, Ghassan Salamé. Sin da novembre questi andava sostenendo che, dopo la Conferenza internazio­nale di

Berlino, il 19 gennaio, dove si era lavorato per cercare di bloccare l’invio di armi e soldati stranieri nello scenario libico, a Ginevra si sarebbe mediato per mettere d’accordo direttamen­te i libici tra loro. Ma il flop è totale. L’embargo militare non funziona, mentre nella regione di Tripoli l’offensiva di Haftar resta minacciosa. «Social e media libici non prestano alcuna attenzione agli esiti di Ginevra. Nessuno credeva potessero sortire alcun risultato. Attorno a Misurata i soldati di Haftar si sono ritirati verso Sirte, qui il fronte è calmo. C’è però preoccupaz­ione per i bombardame­nti che hanno ripreso con durezza sulla capitale, specie nei quartieri di Abu Selim, Salahaddin e Ain Zara causando morti e feriti», sostengono i giornalist­i locali. Impossibil­e non notare l’assenza dei partner europei. «Manca la comunità internazio­nale. La nostra instabilit­à interna dovrebbe comunque preoccupar­e gli europei perché favorisce le emigrazion­i illegali», torna a puntualizz­are Serraj. A complicare lo scenario si aggiungono le frizioni tra Mosca, che sostiene Haftar, e Ankara alleata di Serraj. Nelle ultime ore lo stesso Erdogan ha confermato la morte di due soldati turchi nella regione di Tripoli. Tra l’altro, l’invio di «volontari» siriani tra i rinforzi turchi crea forti tensioni tra le milizie libiche legate al ministro degli Interni Fathi Bishaga e quelle, come la potente Al Nawasi, contrarie alla presenza di stranieri. Un qualche spiraglio potrebbe aversi nell’incontro Putin-erdogan il 5 marzo.

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Il premier al porto colpito dai razzi
Tripoli Il premier al porto colpito dai razzi

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