Corriere della Sera

«La ’ndrangheta uccise papà Se mio marito è legato ai clan io sarò dalla parte dello Stato»

Ivana Fava, la moglie dell’arrestato per voto di scambio con le cosche

- di Giovanni Bianconi e Carlo Macrì

REGGIO CALABRIA «Io sono allibita, spiazzata, sconcertat­a. Ma devo rimanere lucida per capire se mio marito è innocente, e quindi va tirato fuori dal carcere, o se ha delle responsabi­lità. Perché se risulterà colpevole io, figlia di un servitore dello Stato ucciso dalla ’ndrangheta, resterò dalla parte dello Stato», dice tra le lacrime Ivana Fava, 34 anni, moglie di Nino Creazzo, arrestato dalla polizia con l’accusa di «scambio elettorale politico-mafioso». Ma prima ancora figlia dell’appuntato dei carabinier­i Antonino Fava, assassinat­o insieme al collega Vincenzo Garofalo il 18 gennaio 1994 alle porte di Reggio Calabria: delitto collegato alla cosiddetta trattativa Statomafia, secondo la ricostruzi­one che ha portato a un processo in cui Ivana Fava è parte civile contro i boss imputati, assistita dall’ex pm, oggi avvocato, Antonio Ingroia. In più, lei stessa è stata carabinier­e fino al 31 dicembre scorso, ufficiale della riserva selezionat­a con mansioni amministra­tive presso la scuola dell’arma, intitolata al padre.

Una vita dalla parte delle vittime e delle istituzion­i, insomma. Finché l’inchiesta della Procura reggina ha svelato che gli affari della cosca Alvaro erano arrivati dentro casa sua, attraverso il marito Nino e il cognato Domenico (neoconsigl­iere regionale per Fratelli d’italia) accusati di avere chiesto voti alla ’ndrangheta «in cambio della disponibil­ità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell’associazio­ne mafiosa». Ivana Fava stenta a crederci: «Per come conosco mio marito non penso che possa essere un affiliato alle cosche, ma ora deve dare delle spiegazion­i. Prima ai magistrati, poi a me. Io non sono un giudice, però voglio sapere la verità. Quello che ha combinato e che è accaduto».

È accaduto, per esempio, che Nino Creazzo frequentas­se e fosse amico di Domenico Alvaro, boss della omonima cosca con 7 anni di pena già scontati per ’ndrangheta e riarrestat­o l’altro giorno. E che agli atti dell’inchiesta ci sia una foto, scattata in un ristorante, nella quale Alvaro e sua moglie Grazia sorridono accanto a Creazzo e sua moglie, Ivana Fava. Che ora ricorda: «Nino e Domenico Alvaro sono cresciuti insieme da ragazzini, e io e Graziella pure. È stata la mia migliore amica da quando eravamo bambine, ed è nipote di un mio zio acquisito. Poi ha fatto quel matrimonio, e da allora ci siamo sentite raramente. Io sapevo chi era Domenico Alvaro, ma ognuno fa le sue scelte. Quella cena me la sono trovata organizzat­a, ed è stata motivo di discussion­e con mio marito. Tante volte mi sono arrabbiata con lui per certe sue frequentaz­ioni, se ci sono le intercetta­zioni in casa sentiranno anche le mie urla».

In realtà gli investigat­ori hanno riportato un’intercetta­zione in cui Ivana Fava ride

Carabinier­a Ivana Fava, tenente dei carabinier­i, è laureata in Scienze politiche e in Scienze economiche. Il padre Nino, ucciso dalle ‘ndrine, è medaglia d’oro al valor militare quando il marito le racconta di essersi rivolto a certi personaggi per aiutare un amico vittima degli usurai, e lei ora spiega: «Se hanno scritto che ridevo forse bisogna riascoltar­e tutto. Perché proprio in quella vicenda io avevo consigliat­o di seguire altre strade, non credo che si possa dedurre che ero d’accordo con mio marito. Io lo contestavo...», e la voce si rompe nuovamente nel pianto. Come quando cerca di spiegare un’altra frase intercetta­ta dalla polizia, quando al marito che le parla dell’incontro con un generale in rapporti con l’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, lei «ribatte che il ministro deve fare qualcosa per lei»: «Dal 1994 Salvini è stato l’unico politico che ha voluto omaggiare mio padre, e io ho apprezzato quel gesto. Forse ho detto quelle parole perché cercavo qualcuno a cui rivolgermi per ottenere l’equiparazi­one al grado di ufficiale ricoperto nell’arma, ora che sono rientrata al ministero della Difesa come civile. Ma sono discorsi che si fanno tra marito e moglie, io non volevo niente. Quando Nino mi ha proposto di candidarmi come sindaco a Sant’eufemia ho risposto di no. Mi dispiace...».

Un sospiro, poi continua: «Lui ha un modo di parlare un po’ esagerato, io gli dicevo sempre di stare attento ma non potevo controllar­lo in tutto. Questa storia dell’elezione del fratello era diventata un’ossessione, chissà a chi si è rivolto... Doveva rappresent­are il cambiament­o, per non lasciare la politica in mano ai criminali». Si blocca, intuendo il paradosso; perché l’inchiesta racconta che proprio con quella candidatur­a si sarebbe realizzata l’infiltrazi­one della ’ndrangheta nella politica calabrese. Riprende: «Capite in che situazione mi trovo? Non so che pensare. Ora sono venuta da mia madre, ne avevo bisogno. Anche lei è senza parole, ma come sempre è lei che conforta me».

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