«Donna speciale non una star Ieri ha pianto tutto il giorno»
«Ciao, tennis. Come farò senza di te dopo 28 anni?». Nemesi bianchissima della super campionessa nerissima, donna-azienda capace di dominare per undici anni consecutivi la classifica di Forbes delle atlete più pagate del mondo (20 milioni di dollari a stagione, nel periodo d’oro) pur vincendo molto meno di Serena Williams, mortificata da un infortunio cronico alla spalla Sua Bionditudine si ritira a 32 anni. Alla maniera con cui nel 2016 annunciò al mondo il suo doping, cioè convocando a corte i giornali amici, Maria Sharapova scrive un articolo per Vogue e Vanity Fair chiedendosi ad alta voce: «Cosa farà mai da grande una che per tutta la vita ha giocato a tennis?».
Niente panico. Miliardaria (38.777.962 dollari in carriera guadagnati in soli premi, terza assoluta dietro le sorelle Venus e Serena, con cui dal 2001 si contende rimmel, attenzione e titoli), volto glamour del jet set internazionale, fidanzata con il gallerista inglese Alexander Gilkes, la divina Maria sbarcata negli Usa dalla Russia a 7 anni con 500 dollari in tasca troverà il modo di rimanere sulle copertine dei giornali. Una linea di moda, le caramelle omonime, l’impegno con Nike che la vedrà traghettare dal ruolo di testimonial a quello di manager (all’uopo ha frequentato un corso di management ad Harvard), l’amicizia con Anna Wintour, Jennifer Aniston, Chelsea Handler e le altre femmine Alfa del bel mondo losangelino (Maria tiene villa a Manhattan Beach, sobborgo chic a sud della metropoli) garantiranno un atterraggio morbido alla campionessa russa che ha saputo integrarsi negli Stati Uniti senza mai tagliare i ponti con la Grande Madre di Vladimir Vladimirovic Putin, che la volle portabandiera ai Giochi di Londra.
Straordinaria pierre di se stessa, abile nel vendere il marchio Sharapova anche durante la squalifica per doping di 15 mesi che ne ha appena scalfito l’immagine, algida ma non così distante come il suo ufficio stampa ce l’ha raccontata (di persona portatrice di un’umanità non prevista dalla narrazione della sua leggenda sportiva), Maria è stata — parbattuta. landone da viva — anche una vera campionessa. Affamata e gran lavoratrice, coraggiosa nell’affrancarsi dal padre Yuri e capace di soffrire. Non si vincono cinque titoli Slam per caso nell’era delle Williams, ribadendo ancora minorenne la supremazia Wasp nel tempio anglosassone di Wimbledon (2004) prima di arrendersi alla conclamata superiorità atletica di Serena, mai più
Riccardo Piatti, il tecnico italiano più famoso, è il coach di Jannik Sinner che a gennaio ha accompagnato Maria Sharapova in Australia, cercando di allungarle un po’ la carriera.
Riccardo, stupito dall’annuncio del ritiro?
«A Melbourne, Maria mi ha chiesto di salire nella sua camera d’albergo. La vedevo emozionata. Smetto, mi ha detto. Ho provato a rilanciare: arriviamo almeno fino a Miami. A Bordighera ci eravamo allenati benissimo: Maria è l’atleta migliore che ho mai avuto. Ha un problema cronico alla spalla: il fisico non ha retto, però non l’ha mai usato come alibi. Una grandissima».
Lo scorso weekend Sharapova ha sciato per la prima volta in Montana, poi ha mandato un video a Sinner, ex gigantista, che le ha risposto: «Era meglio se continuavi con il tennis!».
«Vissuta come persona, e non come star, Maria si è rivelata molto profonda e prodiga di consigli con Jannik: gli ha spiegato cosa significa vincere uno Slam e insieme hanno girato un video di auguri natalizi per i social. Dubito aprirà una scuola. Ama l’arte, la moda, lo stile: le ho consigliato di venire a vivere in Italia. Mi spiacerebbe perderla».
Le ha scritto, ieri?
«Sì. Le ho detto che mi ha commosso. E lei: è tutto il giorno che piango».