A causa di siccità e temperature miti il ciclo riproduttivo non si è interrotto: ora vagano nei prati alla ricerca di cibo L’uomo non può fare a meno di loro
Sempre più spesso mi capita di venir colta da un desiderio che avrei ritenuto impossibile fino a qualche anno fa. Contemplando i meravigliosi tramonti di questi giorni — rosso di sera, bel tempo si spera — osservando la luce che, già all’alba, filtra dalle persiane e che annuncia un’altra splendida giornata di sole, non posso far altro che pensare: magari vivessi ancora in città, magari intorno a me ci fosse solo cemento: nessuna pianta, nessun animale, nessun essere sofferente per questa anomalia stagionale.
Invece vivo in campagna, mi alzo la mattina e so che presto vedrò di decine e decine di api perlustrare il prato alla disperata ricerca di qualcosa da mangiare. Che cosa fiorisce in febbraio, infatti? Le prime timide veroniche, qualche cespuglio di viburno, nei luoghi più assolati. Poca cosa, per un numero di api così elevate e così affamate. Per loro, febbraio sarebbe ancora un mese di riposo, il mese delle prime timide uscite, nelle ore più calde, magari alla ricerca di un po’ di polline di nocciolo, fondamentale per far partire la loro macchina metabolica. Ma quest’anno è successo qualcosa di straordinario, le api non sono praticamente mai andate a «dormire».
Che cosa vuol dire questo? Che l’interruzione del ciclo riproduttivo — che ha inizio in autunno e si protrae per tutto l’inverno — non è avvenuto. Le api infatti, a differenza di altri imenotteri, come vespe e calabroni, le cui colonie muoiono ogni autunno e ogni primavera rinascono, grazie a una regina precedentemente fecondata, sono in grado di vivere molte stagioni e, per fare questo, hanno messo a punto, nel corso dell’evoluzione, un sistema di sopravvivenza piuttosto complesso. All’inizio dell’autunno infatti, la maggior parte delle api muore — il ciclo vita di un’ape è mediamente di venti giorni — mentre quelle che nascono a fine estate hanno il privilegio di vivere molto più a lungo. Per quale ragione questo privilegio? La regina — il bene più prezioso dello sciame — è molto longeva, può vivere cinque o sei anni, ma si accoppia una sola volta, dunque deve essere in grado di mantenere attivo al suo interno il patrimonio di ovuli e spermatozoi — sarà poi questo materiale genetico a permetterle di rendere produttimaginare
● L’interruzione del ciclo riproduttivo, che ha inizio in autunno e si protrae per tutto l’inverno, non è avvenuta e l’ape regina ha continuato a deporre uova e a far nascere nuove api popolando le arnie come quando si è in primavera va la stagione seguente — e per poterlo fare, ha bisogno di avere intorno a sé una temperatura costante di 37°. Il compito delle api autunnali, quindi, è proprio quello di raccogliersi intorno alla regina, formando una piccola palla — il glomere — e di tenerla calda, contraendo ritmicamente il loro addome. Durante questi mesi, infatti, viene sospesa la deposizione delle uova.
Quest’inverno, la collaudata successione di eventi non si è messa in funzione per il semplice fatto che non c’è stato l’inverno, e dunque la regina ha continuato a deporre uova e a far nascere nuovi api. Con il risultato che a febbraio, le arnie hanno la stessa popolazione che avrebbero dovuto avere nella piena primavera.
Negli ultimi anni, la produzione nazionale di miele è crollata in maniera drastica e purtroppo questo inverno di api stakanoviste non fa im
La regina
È molto longeva, può vivere fino a 6 anni ma si accoppia una volta soltanto