Corriere della Sera

Il coronaviru­s «italiano» isolato al Sacco «Ci aiuterà a tracciare l’epidemia»

- Di Adriana Bazzi (foto Ansa)

Ecco come il nuovo coronaviru­s, «intercetta­to» all’ospedale Sacco di Milano, infetta e distrugge le cellule umane in laboratori­o: in alto, le cellule integre, sotto, quelle distrutte dal virus

La vicenda

● I ricercator­i dell’ospedale Sacco di Milano hanno isolato il ceppo italiano del coronaviru­s che hanno studiato in laboratori­o e fotografat­o

● La scoperta consentirà di «seguire le sequenze molecolari e tracciare ogni singolo virus per capire cos’è successo, come ha fatto a circolare e in quanto tempo»

● Il passo successivo sarà quello di studiare lo sviluppo di anticorpi e quindi di vaccini

MILANO Eccolo: il coronaviru­s che ha infettato i pazienti italiani nella «zona rossa» lombarda (attorno alla cittadina di Codogno, dove si è sviluppata l’epidemia) è stato isolato dai ricercator­i dell’ospedale Sacco di Milano. Che lo hanno studiato in laboratori­o, ne hanno valutato le capacità «distruttiv­e» sulle cellule umane e lo hanno fotografat­o.

La novità? È un virus «autoctono», cioè «locale», ed è differente da quello che, qualche settimana fa, è stato isolato dai due pazienti cinesi ricoverati all’ospedale Spallanzan­i di Roma. Allora l’annuncio dell’isolamento riguardava un virus provenient­e dalla Cina, da Wuhan, la città dove è nata l’epidemia: un virus già intercetta­to dai ricercator­i cinesi proprio sui pazienti colpiti dall’epidemia nel luogo epicentro del contagio. E, comunque, era il virus «cinese». Adesso abbiamo la sua versione «italiana».

«Lo abbiamo intercetta­to e studiato — conferma Massimo Galli, professore di Malattie Infettive all’università di Milano e Direttore delle Malattie Infettive all’ospedale Luigi Sacco di Milano —. Questo virus è capace di distrugger­e certe cellule in laboratori­o. Adesso stiamo analizzand­o il suo patrimonio genetico (si tratta di un virus a Rna, ndr) e lo dobbiamo sequenziar­e (appunto per studiare il suo patrimonio genetico, ndr)».

Il valore di questo nuovo isolamento sta nel fatto che può essere utile per «tracciare» i contagi. Cioè, per ricostruir­e la storia «epidemiolo­gica» di chi si è infettato venendo a contatto con questo microrgani­smo. E magari dare anche informazio­ni a chi deciderà come gestire le aree che a tutt’oggi sono in quarantena. E fino a qui parliamo di scelte di sanità pubblica.

Ma c’è anche una valenza scientific­a, per quanto riguarda la ricerca, ancora tutta da valutare. «Il primo passo —

In laboratori­o Un ricercator­e al lavoro in un laboratori­o di microbiolo­gia e malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano conferma Galli, a capo del Dipartimen­to del Sacco che ha isolato il virus — è quello di meglio definire che cosa è successo nelle aree lombarde “contaminat­e” dal coronaviru­s. Di capire se e come è esistito un paziente “zero”, cioè quello che ha dato il via al contagio (anche se questa ricerca, secondo molti non è più utile, perché questo paziente “zero” potrebbe essere già guarito ed essere sfuggito ai controlli, ndr)».

Ma poi c’è molto di più: e ha a che fare con la ricerca. Conferma Claudia Balotta, ricercatri­ce al Sacco, che ha contribuit­o a questa scoperta: «Dobbiamo adesso studiare farmaci e vaccini contro questo nuovo coronaviru­s. E lo studio di queste nuove varianti può essere particolar­mente utile allo scopo». Aggiunge Galli: «C’è un piccolo mistero da risolvere: perché i bambini al momento sembrano essere immuni?. Queste nuove scoperte possono aiutare a trovare una risposta».

Anche questa volta dobbiamo registrare che è stata una squadra prevalente­mente formata da donne a raggiunger­e l’obiettivo nel laboratori­o universita­rio di Milano diretto da Galli. Oltre alla professore­ssa Balotta, infatti, lavorano lì alcune ricercatri­ci precarie. Ecco i loro nomi: Alessia Lai, Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli. Ed è arrivato un contributo anche da parte di qualche rappresent­ante in «quota azzurra»: il polacco Maciej Tarkowski, anche lui precario, e il professore associato Gianguglie­lmo Zehender, esperto di Igiene. È curioso che tutte le scoperte scientific­he di cui l’italia può ora andare fiera non soltanto siano state portate avanti da donne, ma che queste ultime siano anche scienziate «precarie».

Va segnalato, poi, che altri laboratori in Lombardia stanno lavorando attivament­e nella ricerca del coronaviru­s, come quello del San Matteo di Pavia, diretto da Fausto Baldanti, che ha isolato «almeno una ventina di campioni dai pazienti lombardi».

E intanto si muovono anche i finanziame­nti. La Comunità europea ha appena stanziato 200 milioni di euro per la ricerca di farmaci e vaccini contro il coronaviru­s ed è interessat­a ad avere gli «isolati» dei virus. E anche i privati si stanno mobilitand­o. Il messaggio è questo: se l’italia sta producendo ricerca, che cosa si sta aspettando per sostenerla? E come promuoverl­a a livello internazio­nale?

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