Corriere della Sera

«La priorità resta limitare i contatti tra le persone: lo dicono i dati»

L’epidemiolo­go Demicheli e le restrizion­i: «È l’unica strategia per rallentare il virus»

- di Simona Ravizza L’altro problema? sravizza@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Idati ci dicono che oggi ogni paziente con il coronaviru­s trasmette la malattia ad altri due. E dove ci sono molti contagi la curva epidemiolo­gica cresce in modo esponenzia­le: bloccare a quel punto non serve più a nulla. Bisogna intervenir­e prima. Lo dice la scienza e la politica deve ascoltarla».

Vittorio Demicheli, 64 anni, epidemiolo­go dell’unità di crisi di Regione Lombardia, è consapevol­e di essere uno dei promotori di una decisione che rischia di essere impopolare: mentre una parte dei cittadini e soprattutt­o le ragioni dell’economia chiedono il ritorno alla normalità, lui e i colleghi spingono per la proroga della chiusura delle scuole e la limitazion­e della socialità. Una posizione fatta propria dal governator­e Attilio Fontana che, sulla base delle osservazio­ni dei tecnici, chiede al governo di mantenere le misure restrittiv­e. In accordo con la comunità scientific­a.

Dall’osservator­io dell’unità di crisi monitorate 24 ore su 24 il numero di contagi, il loro andamento, la gravità degli ammalati e la situazione degli ospedali. Cosa avete capito?

«Il virus clinicamen­te non dà problemi, o comunque è facilmente risolvibil­e, nel 90% dei pazienti. Ma in oltre il 10%, soprattutt­o se anziani, comporta problemi gravi che richiedono un ricovero in Terapia intensiva».

Ma oggi la diffusione del virus è circoscrit­ta al 4% della popolazion­e e l’incidenza è alta in pochi territori, come il Lodigiano, Cremona e Alzano Lombardo (Bergamo). Non basta chiudere le «zone rosse»?

«Il caso di Codogno, dove il contagio continua a essere di 5-6 casi al giorno come all’inizio, ci dimostra che intervenir­e dopo serve a poco: la corsa del virus ormai è partita. Se invece che nel Lodigiano, dove comunque ci sono solo 50 mila abitanti, la stessa situazione succedesse a Milano, sarebbe un disastro. È il motivo per cui è fondamenta­le agire prima».

Che cosa può cambiare tra una settimana?

«Il tempo di incubazion­e del coronaviru­s è di 14 giorni che, dal «Paziente Uno», si concludere­bbero venerdì prossimo. A quel punto possiamo avere un quadro più chiaro. L’obiettivo è rallentare i contagi in modo da portarli a uno a uno, cioè con una persona che ne infetta un’altra e non due come adesso. Per farlo bisogna limitare i contatti».

È una questione matematica di probabilit­à?

«Esattament­e. Solo la riduzione probabilis­tica dei contatti ci può portare a un rallentame­nto della diffusione del virus».

Il documento che avete sottoposto a Fontana e all’assessore alla Sanità Giulio Gallera fotografa anche la situazione degli ospedali della Lombardia. Cosa sta succedendo qui è indicativo per capire quel che potrebbe succedere anche nel resto d’italia.

«Ci sono due problemi. Gli ospedali vicino ai focolai del contagio non sanno più dove mettere i malati, soprattutt­o quelli gravi che hanno bisogno della Rianimazio­ne. Oggi il sistema ospedalier­o regge perché i pazienti possono essere trasferiti negli ospedali delle città non ancora colpite. Ma se il numero di contagiati si allarga rischia di andare in default».

«Il 10% degli ammalati sono medici e infermieri. E l’epidemia da sola non si ferma. Sono certo che i cittadini capiranno».

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Vittorio Demicheli, 64 anni, epidemiolo­go dell’unità di crisi di Regione Lombardia. A sinistra una nuova struttura all’ingresso dello Spallanzan­i di Roma
Esperto Vittorio Demicheli, 64 anni, epidemiolo­go dell’unità di crisi di Regione Lombardia. A sinistra una nuova struttura all’ingresso dello Spallanzan­i di Roma

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