«La priorità resta limitare i contatti tra le persone: lo dicono i dati»
L’epidemiologo Demicheli e le restrizioni: «È l’unica strategia per rallentare il virus»
«Idati ci dicono che oggi ogni paziente con il coronavirus trasmette la malattia ad altri due. E dove ci sono molti contagi la curva epidemiologica cresce in modo esponenziale: bloccare a quel punto non serve più a nulla. Bisogna intervenire prima. Lo dice la scienza e la politica deve ascoltarla».
Vittorio Demicheli, 64 anni, epidemiologo dell’unità di crisi di Regione Lombardia, è consapevole di essere uno dei promotori di una decisione che rischia di essere impopolare: mentre una parte dei cittadini e soprattutto le ragioni dell’economia chiedono il ritorno alla normalità, lui e i colleghi spingono per la proroga della chiusura delle scuole e la limitazione della socialità. Una posizione fatta propria dal governatore Attilio Fontana che, sulla base delle osservazioni dei tecnici, chiede al governo di mantenere le misure restrittive. In accordo con la comunità scientifica.
Dall’osservatorio dell’unità di crisi monitorate 24 ore su 24 il numero di contagi, il loro andamento, la gravità degli ammalati e la situazione degli ospedali. Cosa avete capito?
«Il virus clinicamente non dà problemi, o comunque è facilmente risolvibile, nel 90% dei pazienti. Ma in oltre il 10%, soprattutto se anziani, comporta problemi gravi che richiedono un ricovero in Terapia intensiva».
Ma oggi la diffusione del virus è circoscritta al 4% della popolazione e l’incidenza è alta in pochi territori, come il Lodigiano, Cremona e Alzano Lombardo (Bergamo). Non basta chiudere le «zone rosse»?
«Il caso di Codogno, dove il contagio continua a essere di 5-6 casi al giorno come all’inizio, ci dimostra che intervenire dopo serve a poco: la corsa del virus ormai è partita. Se invece che nel Lodigiano, dove comunque ci sono solo 50 mila abitanti, la stessa situazione succedesse a Milano, sarebbe un disastro. È il motivo per cui è fondamentale agire prima».
Che cosa può cambiare tra una settimana?
«Il tempo di incubazione del coronavirus è di 14 giorni che, dal «Paziente Uno», si concluderebbero venerdì prossimo. A quel punto possiamo avere un quadro più chiaro. L’obiettivo è rallentare i contagi in modo da portarli a uno a uno, cioè con una persona che ne infetta un’altra e non due come adesso. Per farlo bisogna limitare i contatti».
È una questione matematica di probabilità?
«Esattamente. Solo la riduzione probabilistica dei contatti ci può portare a un rallentamento della diffusione del virus».
Il documento che avete sottoposto a Fontana e all’assessore alla Sanità Giulio Gallera fotografa anche la situazione degli ospedali della Lombardia. Cosa sta succedendo qui è indicativo per capire quel che potrebbe succedere anche nel resto d’italia.
«Ci sono due problemi. Gli ospedali vicino ai focolai del contagio non sanno più dove mettere i malati, soprattutto quelli gravi che hanno bisogno della Rianimazione. Oggi il sistema ospedaliero regge perché i pazienti possono essere trasferiti negli ospedali delle città non ancora colpite. Ma se il numero di contagiati si allarga rischia di andare in default».
«Il 10% degli ammalati sono medici e infermieri. E l’epidemia da sola non si ferma. Sono certo che i cittadini capiranno».