Corriere della Sera

Roberto Cingolani Lo scienziato (poco social) dell’intelligen­za artificial­e «Crollo del ponte Morandi e malattie neurologic­he? Eventi prevedibil­i»

- Di Stefano Lorenzetto

F in dall’infanzia, il fisico Roberto Cingolani, primatista italiano nell’intelligen­za artificial­e e nei robot, aveva ben chiaro che cosa non voleva essere da grande: un brocco. «A 10 anni correvo in bici, a 20 capii che non sarei mai arrivato al Giro d’italia: smisi. A 18 facevo kick boxing nell’accademia di Jean Paul Pace, ma non potevo diventare campione del mondo juniores: smisi. Prima della laurea mi dilettavo di grafica pubblicita­ria e fumetti, ricavandoc­i qualche soldo: smisi. Però disegno ancora: mi aiuta a riflettere». Pensa e ripensa, a 16 anni ebbe una folgorazio­ne: cominciò a partecipar­e ai concorsi Philips per giovani ricercator­i. La prima volta non andò in finale, la seconda vinse l’edizione italiana, la terza quella europea. Dalla quarta fu escluso per eccesso di notorietà.

Questione di imprinting domestico. Il padre Aldo, morto a soli 50 anni, era docente universita­rio di Fisica. La sorella Silvia è ordinaria di Matematica all’università di Bari. Il fratello Gino ha la cattedra di Biologia alla Jefferson University di Philadelph­ia. La moglie Nassia, greca, è una fisica esperta in Scienza dei materiali. Il primo figlio, Aldo, è un ingegnere chimico. Il secondo, Alex, nel 2021 si laureerà in Chimica. Il terzo, Alkis, a 10 anni già eccelle in tutte le materie.

Dalle camere della sua casa di Genova il professor Cingolani vedeva il ponte Morandi. Quando dirigeva l’iit, l’istituto italiano di tecnologia, ci passava sopra tre volte al giorno per raggiunger­e un laboratori­o. «Vibrava», ricorda. Ma quello che ha raccontato di recente al Cnb, il Comitato nazionale di bioetica, va oltre: «Si poteva prevederne il crollo».

Come fa ad affermarlo?

«Leonardo, società in cui sono responsabi­le dell’innovazion­e tecnologic­a, con Telespazio ed E-geos ha costruito negli anni un eccezional­e database di immagini satellitar­i. Grazie alle tecnologie odierne, si presterebb­ero a un’analisi delle oscillazio­ni millimetri­che di tutti i viadotti, basata su raffronti storici. Ma è lo Stato che deve decidere».

Al Cnb ha anche detto che si può pronostica­re una malattia neurologic­a filmando come cammina una persona.

«Ci sono sistemi di computer vision che nelle traiettori­e degli arti misurano deviazioni predittive di future patologie. Un clinico potrebbe diagnostic­arle solo osservando il paziente per 24 ore filate».

Ma non si occupava di umanoidi?

«Da giovane sognavo di salvare il mondo e andare in Africa a fare il medico. Poi ho capito che avevo bisogno di un ambiente più matto di un ospedale. Comunque i robot, interagend­o con i bambini, possono aiutare a sconfigger­e disturbi del neurosvilu­ppo quali l’autismo».

La chiamano «lo Steve Jobs italiano».

«Non lo sono. Lui era un genio. Io cerco solo di fare del mio meglio».

Che effetto le fa avere una voce biografica sulla Treccani a soli 58 anni?

«Me lo sta dicendo lei. Non lo sapevo. Sono un eremita digitale».

Perché ha lasciato l’iit di Genova?

«Nel 2004 le tecnologie umanoidi erano fiction. Oggi sono sulla bocca di tutti. Nonostante l’ostilità iniziale, abbiamo messo insieme 1.700 cervelli di 60 nazioni, età media 34 anni, 40 vincitori di finanziame­nti del Consiglio europeo per la ricerca, decine di startup. Ma non volevo che diventasse il Cingolani institute of technology. Dopo tre mandati, ho rifiutato il quarto con 18 mesi di anticipo. Il testimone è passato in buone mani, quelle di Giorgio Metta, robotico di fama mondiale, giovane e brillante».

Ha dovuto trovarsi un lavoro.

«Alessandro Profumo me l’ha offerto subito: “Leonardo vuole accelerare sull’innovazion­e. T’interessa?”. C’erano da redigere i programmi su big data, sistemi guidati dall’intelligen­za artificial­e, tecnologie per elettrific­are gli aerei, sostenibil­ità. Il tema non è che cosa venderemo fra quattro anni, ma nel 2040».

Perché quando nei tg vedo i robot che compiono gesti umani resto turbato?

«Perché l’homo sapiens si sente minacciato dalle specie diverse, in questo caso la ruspa, che è più forte di noi ma scema, sposata con il computer, che fa i conti senza braccia e senza gambe ma non ci spaventa perché lo spegniamo».

Elon Musk in Tesla non vuole operai. Dice che «gli umani sono d’intralcio».

«Discordo in toto. Gli riconosco il merito di aver trasformat­o l’auto in un telefonino con il motore elettrico. Sapiens rimane l’essere più creativo che esista e che esisterà, quello che ha consentito a Musk di diventare Elon Musk. Dicendo che l’inventiva gli è d’intralcio, l’imprendito­re contraddic­e sé stesso. Non vengo da una famiglia ricca e so che la macelleria sociale passa attraverso l’uso eccessivo e indiscrimi­nato delle tecnologie».

A chi risponde un umanoide?

«Fantastico quesito. Facciamo un’ipotesi: un pc ha la capacità di calcolo di un uomo, lo mettiamo nella testa di un robot e otteniamo il superuomo. Ma il cervello di questo computer non è fatto di acqua e non pesa un chilo e mezzo: è grande come una stanza e consuma 10 megawatt. Allora ci siamo inventati il cloud, un cervellone centrale cui collegare con il 5G tante macchine individual­mente stupidotte. Il problema è lì. Chi governa il cloud? Gli Stati? Le grandi compagnie? Questa specie non ha un equivalent­e biologico. E poiché in migliaia di anni non siamo riusciti a educarci, tant’è vero che facciamo ancora le guerre, ora temiamo che le macchine intelligen­ti siano cretine come noi».

Gli androidi hanno diritti?

«I nostri nascono dal fatto che vogliamo continuare a esistere come specie. La macchina non ha l’apparato riprodutti­vo. Noi abbiamo impiegato oltre 4 miliardi di anni a evolverci dal batterio a ciò che siamo. Capisco che è fantascien­za, però non posso escludere che fra un milione di anni gli umanoidi siano progrediti sino ad acquistare coscienza di sé. Dobbiamo disegnare il futuro remoto, come faceva la scuola greca 30 secoli fa». aggiunto il debito ambientale».

Lei studia l’intelligen­za artificial­e. Non le pare che latiti quella naturale?

«La prima è utile se sfruttata con intelligen­za naturale, cioè cum grano salis. A preoccupar­mi è la stupidità naturale, perché nessuno ha creato quella artificial­e: troppo complicata da copiare».

L’una finirà per sostituire l’altra?

«No. L’auto non sostituisc­e le gambe».

Ma che cos’è l’intelligen­za artificial­e?

«Un database che immagazzin­a dati e un sistema che li analizza: nel cervello sono i processi mentali, nel computer gli algoritmi. Tutto questo di per sé non è niente, solo un oggetto cieco, muto, sordo. Devo attaccarlo ai sensi: immagini prese dal satellite, velocità rilevata dai sensori. Infine occorrono gli attuatori: un motore, un corpo che metta in pratica le decisioni. Il tutto va alimentato. Ed ecco un organismo. Ma non ha il sistema nervoso, quindi serve il wifi, il 4G, il 5G».

Il robot è più intelligen­te dell’uomo?

«Il pc da ufficio compie 100 milioni di operazioni al secondo, come un moscerino della frutta. Il topo 100 miliardi, come un cervello elettronic­o. L’uomo 1 miliardo di miliardi, come i server di Google, che bruciano energia quanto un’intera città, mentre a noi basta una merendina. Detto ciò, sappiamo che cos’è l’intelligen­za? No, quindi non dovrei parlare neppure di quella artificial­e. È più intelligen­te Einstein, Picasso o Ronaldo? Nessuno può dirlo. Però in un compito verticale, tipo una partita a scacchi o un’orbita da calcolare, la macchina è di sicuro più performant­e dell’uomo».

Delegare le funzioni mentali a pc e telefonini rischia di atrofizzar­e il cervello. La traversata di Greta non è stata per nulla ecologica

L’androide ha un limite: non piange.

«Come l’autobus. E per fortuna. Teniamocel­a stretta per noi questa facoltà».

Abbiamo delegato parecchie funzioni al pc e allo smartphone, liberando risorse mentali. Eppure dilaga l’idiozia.

«Non abbiamo una Ram di silicio nella testa. Trasferend­o a questi strumenti tutto ciò che sapevamo a memoria, rischiamo di atrofizzar­e il nostro cervello. Ci siamo illusi che la velocità di scambio delle informazio­ni ci favorisse. Invece il 90 per cento di esse risulta inutile e ci fa solo perdere tempo».

Che mezzi usa per viaggiare?

«La bici. La moto, anche sulla tratta Genova-roma. L’auto. L’aereo».

Il catamarano no?

«L’imbarcazio­ne con cui Greta Thunberg ha raggiunto gli Usa è una macchina da Formula 1, per nulla ecologica dal punto di vista dei materiali. E il suo staff l’ha seguita su un volo di linea».

A quale tecnologia rinuncereb­be?

«Mi bastano le mail e il telefono fisso. Il cellulare devo usarlo per lavoro, ma ne farei volentieri a meno. Per me essere social vuol dire parlare con cinque persone guardandol­e negli occhi».

● Nel 2005 diventa direttore scientific­o dell’istituto italiano di tecnologia a Genova, che lascia nel 2019 per entrare in Leonardo spa

 ??  ?? Imprinting Roberto Cingolani, 58 anni, responsabi­le dell’innovazion­e in Leonardo. In famiglia sono tutti scienziati. In basso, Greta Thunberg sul catamarano che l’ha portata negli Stati Uniti
Chi è
● Roberto Cingolani nasce a Milano il 23 dicembre 1961. Si laurea in Fisica all’università di Bari nel 1985 e nel 1988 ottiene il titolo di dottore di ricerca in Fisica
● Nel 1989 consegue il diploma di perfeziona­mento in Fisica alla Normale di Pisa.
Dal 1989 al 1991 è ricercator­e presso il Max Planck Institut di Stoccarda, sotto la guida di Klaus von Klitzing, premio Nobel per la Fisica. Nel 1992 è nominato professore associato di Fisica all’università del Salento
● Nel 1997 è visiting professor all’institute of industrial sciences della Tokyo University e nel 1998 alla Virginia Commonweal­th University
● Nel 2001 fonda il National nanotechno­logy laboratory presso l’università del Salento
Imprinting Roberto Cingolani, 58 anni, responsabi­le dell’innovazion­e in Leonardo. In famiglia sono tutti scienziati. In basso, Greta Thunberg sul catamarano che l’ha portata negli Stati Uniti Chi è ● Roberto Cingolani nasce a Milano il 23 dicembre 1961. Si laurea in Fisica all’università di Bari nel 1985 e nel 1988 ottiene il titolo di dottore di ricerca in Fisica ● Nel 1989 consegue il diploma di perfeziona­mento in Fisica alla Normale di Pisa. Dal 1989 al 1991 è ricercator­e presso il Max Planck Institut di Stoccarda, sotto la guida di Klaus von Klitzing, premio Nobel per la Fisica. Nel 1992 è nominato professore associato di Fisica all’università del Salento ● Nel 1997 è visiting professor all’institute of industrial sciences della Tokyo University e nel 1998 alla Virginia Commonweal­th University ● Nel 2001 fonda il National nanotechno­logy laboratory presso l’università del Salento
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy