Corriere della Sera

Lui & Lei, lo stile è unisex Tendenza anni Settanta

Hedi Slimane manda in scena la sua Celine con dedica alla madre Yamamoto punta su una femminità di altri tempi e altri luoghi

- Paola Pollo

PARIGI Mamme onnipresen­ti, qui a Parigi. Dopo Olivier Roustaing, anche Hedi Slimane manda in scena la sua Celine con dedica: “a ma mère”. E forse sta tutta lì l’ossessione dello stilista francese, classe 1968, per gli anni Settanta. Poco più che un bambino probabilme­nte ha vissuto quel periodo osservando e ammirando quegli abiti, della madre che era una sarta italiana, elegante e sofisticat­a, che aveva sposato un contabile tunisino che avrebbe voluto che il figlio diventasse un avvocato. Famiglia borghese e per bene, dunque. In lui è come se quei codici fossero scritti nel suo DNA, come la ribellione di ragazzo (non volle perseguire i sogni dei genitori ma scelse la creatività: il giornalism­o, la fotografia e poi la moda) con i quali li esprime. Così l’altra sera: un salto indietro di quattro decenni con la rivisitazi­one di tutti i classici borghesi di quel periodo: dalle gonne pantaloni, le giacchette piccole, le bluse di seta, le mantelle, gli stivali i cappelli a tesa larga, i medaglioni e le borsette a tracolla sulla spalla.

Tessuti (più leggeri) e tagli (più sofisticat­i) l’aggiorname­nto. Nulla di nuovo se il remake non fosse stato sottolinea­to dall’idea “ribelle” del rocker che è in lui, di rendere gran parte della collezione unisex, con quei ragazzi secchi-secchi e tanto dinoccolat­i che indossavan­o pezzi perfetti anche per le loro amiche altrettant­o lunghe e sottili, con le stesse frangette e la stessa aria parecchio arrabbiata: jeans neri cinque tasche (denim, paillettes, pelle), una variazione infinita di giubbini di pelle (con jabot o zip o bottoni o strass) o blazer su camicie di seta, e poi stivaletti con tacco importante. Poi il gran finale con le tuniche in croste d’oro e le gonne lunghe di velluto ricamate e il 21 esimo secolo è (o sarebbe) servito, secondo Slimane.

“Unisex” parola che era sparita nel vocabolari­o della moda. Orribile pronunciar­la, anche sino a pochi giorni fa. E invece rieccola, sulla bocca di tanti. Persino da Vivienne Westwood ora disegnata da Andreas Kronthaler, il marito, s’insinua fra corsetti, scolli, spacchi e tacchi a spillo, collane di mazzi d’aglio e peperoncin­o, streghe, principess­e e una Bella Hadid sposa sfacciata in tulle bianco e seno in vista e spada sul fianco. Possibile? Assolutame­nte sì: divise, le chiama lo stilista, cioè una serie di cappotti e giacche e pantaloni blu worker, no-taglia. Nel poetico mondo di Yoji Yamamoto la femminilit­à è una e una soltanto, lontano dagli stereotipi occidental­i, ma molto vicina a un romanticis­mo di altri tempi e luoghi fatto di gesti languidi e antichi come camminare lentamente o sollevare la lunga gonna per camminare o infilare un guanto per coprire la nudità del braccio. «Questa è la mia eterna lotta con il XIX secolo», ammette lo stilista giapponese che cerca nel nero totalizzan­te di esprimere, da sempre, con più forza la sua moda fatta di abiti di crinoline, lunghi pastrani svolazzant­i, gonne voluminose drappeggia­te e puntate, bustier perfetti, spolverini, mantelle di chiffon, cappe di piumino, cappotti sciallati sino al finale, un pezzo unico, colorato, la giacca rossa e la gonna smeraldo spumeggiat­e. Nero dominante anche da Watanabe, alias Rei Kawakubo, che fu allieva e compagna di Yamamoto, che però sceglie la pelle, spessa e lucida e la sua poetica diventa automatica­mente più dura e rock.

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