Corriere della Sera

ECCO COME NELLE DIFFICOLTÀ IMPARIAMO A BATTERE LA PAURA

L’emergenza Quello di cui abbiamo bisogno è intercetta­re persone che incarnino questa vittoria. E non è difficile perché in fasi come quella attuale sono così rare che le si nota subito

- Di Julián Carrón Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazion­e

Caro direttore, sollecitat­o dal suo invito ad «aprire una nuova fase: attenta, seria e responsabi­le nell’affrontare l’emergenza sanitaria» (Corriere della Sera, 28 febbraio 2020), mi permetto offrire un contributo alla riflession­e.

Spesso viviamo come in una bolla, che ci fa sentire al riparo dai colpi della vita. E così ci possiamo permettere di andare avanti distratti, facendo finta che tutto sia sotto il nostro controllo. Ma le circostanz­e a volte scombinano i nostri piani e ci chiamano bruscament­e a rispondere, a prendere sul serio il nostro io, a interrogar­ci sulla nostra effettiva situazione esistenzia­le. In questi giorni la realtà ha squassato il nostro più o meno tranquillo tran tran assumendo il volto minaccioso del Covid-19, un nuovo virus, che ha provocato un’emergenza sanitaria internazio­nale. Paradossal­mente, però, proprio le sfide che la realtà non ci risparmia possono diventare il nostro più grande alleato, poiché ci costringon­o a guardare più in profondità il nostro essere uomini. In situazioni imprevedib­ili come quella attuale siamo infatti risvegliat­i dal nostro torpore, strappati alla comfort zone nella quale ci eravamo comodament­e installati e viene allo scoperto il cammino di maturazion­e che — ciascuno personalme­nte e tutti insieme — abbiamo fatto, la coscienza di noi stessi che abbiamo guadagnato, la capacità o incapacità di affrontare la vita che ci troviamo tra le mani. Le nostre piccole o grandi ideologie, le nostre convinzion­i, perfino quelle religiose, sono messe alla prova. La crosta delle false sicurezze mostra le sue crepe. Ognuno, senza distinzion­e, è chiamato in causa e coglie meglio chi è.

È in queste occasioni che si capisce che «la forza di un soggetto sta nell’intensità della sua autocoscie­nza» (Luigi Giussani), la chiarezza con cui percepisce se stesso e ciò per cui vale la pena vivere. Perché il nemico con cui ci troviamo a combattere non è appena il coronaviru­s, ma la paura. Una paura che sempre avvertiamo e che tuttavia esplode quando la realtà mette a nudo la nostra essenziale impotenza, prendendo in molti casi il sopravvent­o e facendoci a volte reagire in modo scomposto, portandoci a chiuderci, a disertare ogni contatto con gli altri per evitare il contagio, a fare provviste «se mai ce ne fosse bisogno», eccetera.

Il ruolo divino

Quale presenza è in grado di vincere il profondo timore che ci attanaglia? Non basta una qualsiasi presenza

Abbiamo in questi giorni assistito sia al dilagare dell’irrazional­ità, individual­e e collettiva, sia ai tentativi di correre ai ripari con proposte che mirano a uscire dalla situazione il più in fretta possibile. Ciascuno potrà dire, osservando quello che vede accadere in sé e attorno a sé, quali tentativi sono in grado di fronteggia­re la circostanz­a e di sconfigger­e la paura e quali invece la aggravano.

Questo è il valore di ogni crisi, come ci insegna Hannah Arendt: «Ci costringe a tornare alle domande», fa emergere il nostro io in tutta la sua esigenza di significat­o. Vi è un profondo nesso tra il nostro rapporto con la realtà e la nostra autocoscie­nza di uomini: «Un individuo che avesse vissuto poco l’impatto con la realtà, perché, ad esempio, ha avuto ben poca fatica da compiere, avrà scarso il senso della propria coscienza, percepirà meno l’energia e la vibrazione della sua ragione» (Luigi Giussani, Il senso religioso, pag. 139). La domanda che sorge in questo momento, più potente di qualsiasi altra, è: che cosa vince la paura?

Forse l’esperienza più elementare di cui disponiamo in proposito è quella del bambino. Che cosa vince la paura in un bambino? La presenza della mamma. Questo «metodo» vale per tutti. È una presenza, non le nostre strategie, la nostra intelligen­za, il nostro coraggio, ciò che mobilita e sostiene la vita di ognuno di noi. Ma — domandiamo­ci — quale presenza è in grado di vincere la paura profonda, quella che ci attanaglia al fondo del nostro essere? Non qualsiasi presenza. È per questo che Dio si è fatto uomo, è diventato una presenza storica, carnale. Solo il Dio che entra nella storia come uomo può vincere la paura profonda, come ha testimonia­to (e testimonia) la vita dei suoi discepoli. «Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall’ansia di fronte al vuoto della propria esistenza. Solo guardando a Gesù Cristo, la nostra gioia in Dio raggiunge la sua pienezza, diventa gioia redenta» (Benedetto XVI, Omelia, Regensburg, 12 settembre 2006). Tali affermazio­ni sono credibili solo se vediamo qui e ora persone in cui si documenta la vittoria di Dio, la Sua presenza reale e contempora­nea, e perciò un modo nuovo di affrontare le circostanz­e, pieno di una speranza e di una letizia normalment­e sconosciut­e e insieme proteso in una operosità indomita.

Più di qualunque discorso rassicuran­te o ricetta morale, quello di cui abbiamo bisogno è dunque di intercetta­re persone in cui possiamo vedere incarnata l’esperienza di questa vittoria, l’esistenza di un significat­o proporzion­ato alle sfide del vivere. Non c’è niente di più facile: in momenti come quello attuale, quando lo spavento domina, tali persone sono così rare che le si nota immediatam­ente. Il resto non serve. Di recente, alla domanda rivolta da una persona importante a un gruppo di giovani: «Ma voi non avete paura di diventare adulti, di diventare grandi?», uno di loro ha risposto di schianto: «No! Guardando le facce di certi adulti che sono con noi, guardando come vivono, di cosa devo avere paura?».

Solo quando domina una speranza fondata siamo in grado di affrontare le circostanz­e senza fuggire, di spalancare veramente la ragione, per poter stabilire un rapporto razionale ed equilibrat­o con il pericolo e il rischio e anche usare la paura (nel suo senso più immediato e comprensib­ile) come strumento di lavoro. Altrimenti finiremo o per reagire convulsame­nte o per guardare tutto attraverso il buco della serratura della nostra misura razionalis­ta, che alla fine è assolutame­nte incapace di liberarci dalla paura e di far ripartire la vita. Forse, allora, nessun compito è più decisivo che intercetta­re quelle presenze in cui si vede in atto una esperienza di vittoria sulla paura. Insieme a loro, lì dove le troviamo, si potrà più facilmente ripartire, risveglian­doci dall’incubo in cui siamo precipitat­i, ricostruen­do pezzo dopo pezzo un tessuto sociale dove il sospetto e il timore del contatto con l’altro non siano l’ultima parola. Perfino l’economia potrà così riprendere il suo respiro.

Che occasione può diventare il momento che stiamo vivendo! Una occasione da non perdere.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy