Corriere della Sera

I due quasi-amici Gheddafi e Andreotti

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Giulio Andreotti non fu mai d’accordo con gli americani nel considerar­e Muammar Gheddafi un pazzo, un mad dog, come lo chiamava Ronald Reagan. Una definizion­e condivisa per lungo tempo da molti leader occidental­i e arabi. Anzi, con lui lo statista italiano cercò sempre la mediazione convinto fosse un «politico abile e spregiudic­ato», anche dopo i gravissimi episodi di terrorismo internazio­nale organizzat­i dai servizi segreti della Jamaria libica e nonostante le prove evidenti del sostegno diretto di Gheddafi ai gruppi estremisti come quelli del palestines­e Abu Nidal. Andreotti avrebbe desiderato tenere contatti diretti nonostante le bombe contro i soldati americani in Germania, gli attentati agli aeroporti di Roma e Vienna nel dicembre 1985, il raid americano di rappresagl­ia su Tripoli e Bengasi nell’aprile 1986 (al quale si era opposto) e poco dopo i missili libici sparati verso Lampedusa, sino all’ordigno nell’aereo della Pan Am nei cieli di Lockerbie, che il 21 dicembre 1988 causò 270 morti. Intanto però Gheddafi gli assicurava di non sostenere le Brigate Rosse.

Sono fatti che appartengo­no all’era dell’eclissi della Guerra Fredda, del passaggio tra la Prima e Seconda Repubblica in Italia, di una Libia dominata dalla dittatura così diversa dal caos violento seguito agli stravolgim­enti del 2011. Eppure, a rileggere le testimonia­nze pubblicate in Andreotti e Gheddafi. Lettere e Documenti 1983-2006 (a cura di Massimo Bucarelli e Luca Micheletta, Edizioni di Storia e Letteratur­a, pp. XXXII-312, 28), s’impone chiara la centralità che la Libia ha sempre avuto per l’italia, tanto che un pragmatico inveterato come il leader della Democrazia cristiana fu disposto a fare carte false pur di tenere sempre vivo il rapporto con Gheddafi. Da premier e da ministro degli Esteri, trattò sino allo sfinimento sulle richieste del Colonnello per gli indennizzi italiani del periodo coloniale, non prese mai di petto l’unilateral­ità libica circa la sovranità sul Golfo della Sirte pur di promuovere gli interessi Eni. Soprattutt­o, Andreotti si propose come «fattorino postale» tra Tripoli e Washington, disposto persino a valorizzar­e l’«anticomuni­smo» di quel confuso guazzabugl­io di propaganda e ideologia che era il Libro verde di Gheddafi per smussare lo scontro frontale.

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