«Eravamo organizzati per le messe feriali I divieti? Si rispettano ma serve confronto»
Bologna, il cardinale Zuppi: no al panico
Cosa direbbe ora a un fedele disorientato, eminenza? «Di farne un motivo di crescita interiore. Prendiamolo come un digiuno quaresimale che ci fa riscoprire il dono e la grazia di poter partecipare all’eucaristia. Un motivo di condivisione con i tanti che sperimentano ogni giorno la difficoltà di non poter vivere la propria fede come vorrebbero, le persone anziane, i malati». Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, si prepara a celebrare messa a San Petronio, per un po’ potrebbe essere l’ultima con i fedeli, «ma la cattedrale è così grande e tutto questo assembramento non c’è, purtroppo».
Alcuni hanno criticato la Chiesa per essersi uniformata troppo alle autorità civili, in queste settimane, che ne dice?
«Ma no, è chiaro che quando ci sono indicazioni categoriche è saggio rispettarle. Se le istituzioni civili impongono delle restrizioni, non sarà certo la Chiesa a opporsi. Dopodiché esiste un confronto con le autorità che è sempre importante e dialogico. La situazione è difficile per tutti, straordinaria. È giusto confrontarsi perché si deve imparare ad affrontare la straordinarietà anche tenendo conto di una certa ordinarietà...».
La Cei chiedeva si permettessero almeno le messe feriali, mai affollate... «Certo. Nella nostra diocesi, per esempio, avevamo già preso provvedimenti per evitare assembramenti e al tempo stesso garantire le celebrazioni. Sempre con attenzione, naturalmente, a evitare rischi... Vede, la paura è umana ed è fondamentale, anche perché se no resti “impunito”, come dicono a Roma, e finisci per non renderti conto dei rischi
che si corrono. Però la paura, o peggio il panico, è anche cattiva consigliera. In questo spazio di dialogo si potrà continuare a confrontarsi su ciò che è meglio, tanto più in una situazione difficile in cui per molti ci può essere angoscia, isolamento, fragilità».
Proprio in giorni così difficili non ci sarebbe più bisogno, per i fedeli, di uno spazio spirituale?
«Questo è molto giusto e infatti le chiese sono sempre rimaste aperte, anzi c’è stata una presenza maggiore. Nelle ultime due settimane abbiamo sospeso le benedizioni delle case, i sacerdoti sono rimasti in parrocchia e hanno potuto accogliere più persone del solito. Molti hanno organizzato spazi di preghiera, adorazione eucaristica, lodi e vespri... È stata un’occasione per approfondire ciò che già di per sé è il senso della Quaresima. Questo confronto imprevisto
con la debolezza e la fragilità ci ha resi più sensibili, intorno a noi ci sono tanti virus dei quali spesso non ci rendiamo conto: la malattia, la solitudine, le tante fatiche del vivere che dovrebbero provocarci le stesse reazioni di attenzione e vicinanza». Si è riscoperto il valore degli spazi spirituali?
«Sì. Come spesso avviene ci accorgiamo delle cose quando mancano. In una stagione molto esteriore, dove prevale l’apparenza e la comunicazione superficiale, questa situazione ci costringe ad andare più a fondo nelle cose e anche a essere più attenti al bene comune. In fondo il virus è un male comune e ci aiuta a capire che solo amando il bene comune, e facendone parte, trasformeremo questa avversità in un’occasione per essere più vicini a tante fragilità che stanno intorno a noi. E poi la necessità ha aiutato a trovare soluzioni creative». Tipo?
«Un parroco mi ha raccontato che ha ripreso la messa con la webcam e ha avuto 2.800 contatti, un numero di persone impensabile in una celebrazione normale. Scherzava: “Mi butto sul web!”». E ora?
«La rinuncia è una riscoperta, tanto più in Quaresima. Questa rinuncia forzata deve aiutarci a capire il dono che abbiamo ricevuto, a farci vivere la ricchezza della nostra fede in modo più consapevole quando torneremo, speriamo presto, alla vita ordinaria».