Corriere della Sera

«È la crisi della globalizza­zione La Cina perde la sua centralità»

Giulio Tremonti: momento epocale, frutto di una crescita troppo rapida

- Di Danilo Taino

Giulio Tremonti stende sul tavolo un’immagine notturna della Cina presa dal satellite. «Il coronaviru­s è l’epifenomen­o ma la radice di quello che sta succedendo è in questa fotografia», dice. La costa, da Nord a Sud, è totalmente illuminata, l’interno è buio, a parte alcune aree attorno a Pechino e a qualche grande città. «È un buco nero; e ad avere prodotto questo incidente della Storia è proprio la contraddiz­ione che si è aperta tra la parte meno sviluppata del Paese e quella costiera iper avanzata — chiarisce l’ex ministro dell’economia —. La crescita della Cina negli scorsi due decenni è stata troppo rapida, una forzatura che ha creato grandi squilibri».

Tremonti ha sostenuto sin dai primi anni Duemila — in libri, articoli, convegni e da ministro dei governi Berlusconi — che il ritmo accelerato della mondializz­azione dell’economia sarebbe stato insostenib­ile. Sull’oggi, che considera un momento di svolta per l’intero mondo, ha scritto un nuovo capitolo, in

Giulio Tremonti, 72 anni, è stato più volte ministro delle Finanze e dell’economia con Berlusconi. È avvocato, professore universita­rio e saggista forma di almanacco, per la quarta edizione del libro «Le tre profezie», che uscirà tra pochi giorni per le edizioni Solferino. Alla lettera C scrive che il coronaviru­s «arriva oggi dopo il fantasmago­rico, felice ma artificial­e trentennio della globalizza­zione» e che è «un cambio radicale nel paradigma finora positivo e progressiv­o» della globalizza­zione stessa.

Dove vede l’origine di questo «incidente della Storia»?

«La Cina ha un grande problema demografic­o, mezzo miliardo di persone anziane. Quando, nel 2009, Xi Jinping, che allora non era ancora presidente, mi invitò a tenere una lezione alla scuola del Partito Comunista, mi fu detto che l’obiettivo era fare diventare i cinesi un po’ più ricchi prima che diventasse­ro vecchi. E in questa direzione si sono lanciati, per esempio puntando sull’intelligen­za artificial­e come sostituto della manifattur­a. È una corsa che ha creato un impression­ante squilibrio geografico. Oggi ci sono due Cina: quella esterna iper-sviluppata, quella interna ferma in un’arretratez­za

Il risultato? Quanto duro? In Borsa e oltre.

millenaria».

«Si è rotto il paradigma che ha sostenuto questo sforzo. All’interno della Cina e fuori. A Pechino mi sembrano terrorizza­ti: credo più per gli squilibri economici e politici che il coronaviru­s ha creato che non per gli aspetti sanitari. Verso l’estero, è evidente che questa crisi è un colpo duro per la Cina».

«Quanto duro lo vedremo nel tempo ma il Paese che era un modello di stabilità ha perso questa caratteris­tica. Da subito ne stiamo vedendo le conseguenz­e economiche».

«I crolli delle Borse sono la cosa visibile ma forse meno rilevante. Già gli Stati Uniti di Trump stavano portando un attacco commercial­e e tecnologic­o ai cinesi: hanno visto nella Huawei che fornisce le reti di telecomuni­cazione 5G un Momento Sputnik, quando l’unione Sovietica negli Anni Cinquanta li superò nello spazio. A questa tensione si aggiunge ora il contraccol­po economico del coronaviru­s, che sarà molto consistent­e».

Quanto?

«Il Pil di Cina, Europa e Stati Uniti scenderà parecchio più delle previsioni ufficiali, le stime vanno corrette al ribasso. Oltre all’aspetto diretto della crisi, che avrà forti ricadute sociali ed economiche, saranno da ricostruir­e le filiere produttive mondiali che avevano al centro la Cina, ora mezza bloccata. In più, viene meno la fiducia nell’automatism­o

È emersa la contraddiz­ione tra la parte meno sviluppata del Paese e quella iperavanza­ta sulle coste

progressiv­o della globalizza­zione. La cascata di conseguenz­e sarà ampia, anche sul versante politico, a Pechino e nel resto del mondo. È un momento di enorme cambiament­o».

C’è chi parla di un intervento coordinato delle maggiori banche centrali per sostenere l’economia.

«Non credo a discorsi di questo tipo. La finanza è all’origine di questa crisi della globalizza­zione, non può essere la soluzione. Gli spazi per abbassare i tassi d’interesse, tra l’altro, sono minimi ovunque. Credo invece che debba tornare la politica. Magari con un piano di investimen­ti pubblici. E in Europa con la creazione di Eurobond estesi anche al settore della Difesa, dal momento che il passaggio che stiamo vivendo è straordina­rio e occorre essere pronti a scelte non facili».

L’italia?

«Ho l’impression­e che ci siano analogie con l’8 settembre. Di fronte all’emergenza sanitaria, il governo non ha fatto quello che doveva, ha lasciato che ognuno andasse per i fatti suoi. L’economia era già ferma, poi è arrivata la Cina e poi il pasticcio che ci siamo fatti da soli. Ma non sono del tutto pessimista: dopo l’8 settembre è arrivata la Resistenza».

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Il leader cinese Xi Jinping con la mascherina
Guida Il leader cinese Xi Jinping con la mascherina
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Il profilo
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