Corriere della Sera

SE SURREALE È L’AGGETTIVO PIÙ VIRALE

- di Paolo Di Stefano

Il virus, tra l’altro, ci dà una lezione sull’uso e l’abuso degli aggettivi. Archiviata l’epidemia da Covid-19, useremo ancora l’aggettivo «virale» a cuor leggero per esprimere l’acme dell’ebrezza digitale, la diffusione contagiosa di una notizia, di un video o di un post su internet? Impareremo la sottile differenza tra realtà materiale e realtà virtuale? Improvvisa­mente, quel che fino a ieri era la felicità raggiunta dell’umanità cliccante e socializza­nte (diventare virale a beneficio proprio e del mondo) si è rovesciata in incubo. Il sospetto è che le parole, se non vengono usate con criterio, si ritorcano contro di noi (meglio non stuzzicare il virus che dorme...). Il luogo comune di questi giorni è un altro aggettivo di cui non bisognereb­be approfitta­re: «surreale». Tutto, alla luce della minaccia del virus, diventa surreale. La città in quarantena, la partita a porte chiuse, la vigilia del derby d’italia, gli scaffali vuoti dei supermerca­ti, il sabato al mercato deserto. Tutto irrimediab­ilmente «surreale». È surreale per Salvini che la Camera discuta di intercetta­zioni nonostante l’urgenza del virus; ma già prima per Conte era surreale l’opposizion­e di Renzi; per Renzi era surreale la reazione del governo; per Meloni l’intesa tra Renzi e Salvini sarebbe stata surreale. Se «surreale», per lo Zingarelli, è ancora qualcosa «che evoca e registra le sensazioni del subcoscien­te al di fuori di ogni controllo esercitato dalla ragione», l’aggettivo, sganciato dalle avanguardi­e artistiche europee nate tra le due guerre, è dilagato ovunque, diventando a sua volta virale: sinonimo di irreale, di inverosimi­le o di assurdo. Alla fine però è sempre la realtà a venirci addosso: il virus che riempie gli ospedali è molto reale e tutt’altro che surreale. Semmai è vero che a volte produce effetti che sembrano concepiti dal genio surrealist­a di Magritte o di Dalí, scene che potrebbero essere girate da Buñuel, parole insensate come in certe strabilian­ti poesie dadà.

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