Distanti un metro ma all’anagrafe la coda è già sparita
La prima giornata con l’effetto «droplet»
chiuso, in ufficio, al lavoro, comunque al sicuro dal prossimo suo, quella del «meglio che non vieni, c’è Lorenzo un po’ raffreddato»; e c’è quella di quelli — più rari dei mohicani, si direbbe — che comunque fuori ci vanno, nei negozi ci entrano, nei bar pure. E che di darsi o meno la mano e parlarsi a distanza — almeno quelli — se ne fregano. Perlopiù. Le mascherine in giro sono poche, in prevalenza su visi orientali.
Antonella Beretta fa la veterinaria e il suo ambulatorio è invece piuttosto lontano dal centro. È un punto di osservazione particolare, e la sua sensazione non è diversa: «A nessuna delle persone che entrano qui in questi giorni, e l’affluenza è più o meno la stessa di sempre perché cani e gatti si ammalano con la stessa frequenza di prima, è venuto in mente finora di parlarmi stando a un metro di distanza o cose del genere. Anzi una cosa che ho notato è che molti, per via delle scuole chiuse, vengono a far visitare il cane portando con sé i bambini: per i quali è anche una esperienza nuova».
Qualcuno poi, rispetto alla prescrizione della distanza, si muove deliberatamente in direzione ostinata e contraria. E «gli altri» li va proprio a cercare.
Come i volontari del progetto «Senza margini», gruppo che da otto anni fa parte della rete con cui Milano risponde all’emergenza freddo e che negli ultimi tre accoglie ogni notte durante l’inverno una media di 45 homeless nel dormitorio di Porta Vigentina. Come tutti i dormitori dovrebbe funzionare solo di notte. Salvo che molti luoghi di
A distanza
In alto la coda alle Poste e, sopra, il primo gruppo in visita alla mostra «La collezione Thannhauser da Van Gogh a Picasso» a Palazzo Reale, ieri a Milano. Le nuove misure di sicurezza sul coronavirus varate dal governo prevedono, per quanto riguarda la riapertura di musei e luoghi di cultura, una distanza tra le persone di «almeno un metro» accoglienza diurna, come quelli per la distribuzione di cibo, in ossequio alle nuove disposizioni ora sono chiusi. Così come è vero che un certo numero di volontari, per prudenza, in questi giorni si è dato una pausa. «Ma molti altri dei nostri in compenso — racconta Federico Gallo di Senza margini — hanno invece dato la loro disponibilità a raddoppiare i turni per tenere aperto il servizio anche di giorno, almeno nei fine settimana. Contiamo di iniziare già sabato prossimo».
Dormitori a parte, tra i pochi luoghi in cui si fa la fila sono le sedi dell’azienda di tutela della salute: in corso Italia danno sessanta numerini, se arrivi tardi devi tornare. In compenso l’anagrafe centrale di via Larga è semideserta, gli impiegati degli sportelli 18 e 36 hanno la mascherina, gli altri no. Lo spazio che li divide dai pochi utenti che uno dopo l’altro siedono davanti a loro è tranquillamente al di sotto del metro e mezzo di sicurezza prescritto e nessuno pare preoccuparsene, né di qua né di là dal bancone.
Così come nella farmacia all’angolo, cinquanta metri prima: «Ma certo — risponde una delle commesse — che entrano anche clienti a chiedere consigli. E noi gli diamo gli stessi che si sentono in tv».
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A nessuna delle persone che entrano qui in questi giorni è venuto in mente finora di parlarmi stando alla distanza di sicurezza indicata