Corriere della Sera

Texas, sogno proibito dei dem «Non siamo più cowboy»

Tra comizi e praterie, con gli autori Lawrence Wright e Joe Lansdale Nello Stato che può cambiare la politica Usa (e lanciare Bloomberg)

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«È buffo. Nel Dopoguerra l’america ha avuto presidenti texani a volontà: Eisenhower, Lyndon Johnson, i due Bush. Eppure quello percepito come il più texano di tutti, che riunisce tutti gli stereotipi di questo Stato, è un miliardari­o di New York. Molti vedono in questo una garanzia della tenuta conservatr­ice del Texas. Quando Johnson firmò la legge sui diritti civili, si disse consapevol­e che così i dem avrebbero perso il Sud per una generazion­e, vent’anni. Sbagliò per difetto. Dopo più di mezzo secolo il Sud è solidament­e repubblica­no. Ora però le cose, almeno in Texas, stanno cambiando».

L’analisi di Lawrence Wright, lo scrittore texano che ha raccontato tormenti e umori del suo Stato in uno splendido libro, Dio salvi il Texas (NR Edizioni), può sembrare audace e lui stesso puntualizz­a: «Non dico che i democratic­i riconquist­eranno il Texas nel 2020. Non so se hanno il candidato giusto: vediamo cosa succede nel Super Tuesday. I repubblica­ni faranno l’inferno per non perdere un bastione senza cui la loro sconfitta è certa e permanente: solo la California controlla più voti del Texas al collegio presidenzi­ale, ma è democratic­a».

Girando per le pianure del grande Stato del Sud e nelle sue città arricchite da petrolio e start-up non trovi più molte tracce del Texas dei cow boy. «Il business del trasferime­nto delle mandrie è finito nell’ottocento» spiega ancora Wright, «ma Hollywood lo ha trasformat­o in un mito duraturo con cui siamo costretti a fare i conti tutti i giorni. Per molti è una sofferenza non esserne all’altezza».

Ma oggi il Texas, con la sua crescita molto più rapida anche di quella della California, è diventato un mosaico: te ne accorgi andando all’ultimo comizio di Elizabeth Warren nei curatissim­i giardini pubblici del centro di una Houston scintillan­te di edifici tutti nuovi e pulita più di una città svizzera. I fan che la acclamano non hanno stivali né cappelli a falde larghe: sono quasi tutti bianchi, molti hanno i bambini in spalla. Altri sembrano usciti da qualche università della East Coast.

Ventiquatt­r’ore dopo, in un hangar di una base militare dismessa di San Antonio, è di scena Michael Bloomberg. L’ex sindaco di New York corteggia gli ispanici, ma a modo suo. A chi lo considera un miliardari­o che sta cercando di comprare la nomination dem replica: «Altri quattro anni di Trump costeranno all’america molto più della mia campagna. Solo io lo conosco bene e so come batterlo». E allora maglie e spille «Mike 2020» per tutti, vino, tequila e birra a volontà. Di due marche americane e due messicane.

Ma ti accorgi del cambiament­o del Texas anche girando per le praterie, i boschi e le paludi ai confini con la Louisiana, guidato dallo scrittore Joe Lansdale che vive qui, a Nacogdoche­s, e che in questa terra di ombre e foreste impenetrab­ili ha ambientato molti suoi racconti thriller e horror. «Qui» mi dice «la gente è individual­ista e conservatr­ice per istinto. Io stesso, democratic­o e molto liberal in tema di diritti, mi considero un conservato­re in materia fiscale. Non voglio che lo Stato sperperi le tasse che pago. Ma la gente ha anche idee confuse. Non vuole lo Stato tra i piedi, poi urla “giù le mani dal mio Medicare”, senza pensare che è sanità pubblica».

Confusione, ma soprattutt­o paura e rabbia: Trump è stato un maestro nell’alimentarl­e e sfruttarle politicame­nte. «Mi spaventa», aggiunge Lansdale, «che in un contesto politico polarizzat­o, con linguaggi violenti e notizie distorte, contribuis­cano alla radicalizz­azione i social e i notiziari a getto continuo delle cable tv. C’è gente che sviluppa dipendenza: si sveglia al mattino già in cerca di una teoria cospirativ­a a cui credere. Ma al tempo stesso sta mutando la natura della rabbia della gente. Trump l’ha intercetta­ta con abilità, ma ora il suo Dna cambia: molti di noi, da queste parti, vivono in uno stato perenne d’ansia. Guadagnano discretame­nte, ma poi basta che perdano uno stipendio, per le assenze dovute a una malattia o per altri motivi, e sono sul lastrico».

Situazione pesante che, in un contesto di diseguagli­anze estreme, comincia a mobilitare l’elettorato progressis­ta: «Beto O’ Rourke, arrivato a un soffio dal sottrarre il seggio al senatore repubblica­no Ted Cruz, è il segno di un possibile cambio di stagione». Perché su una cosa Wright e Lansdale, espression­i di due Texas molto diversi, sono

Il cambiament­o

In Texas crescono i sentimenti progressis­ti di giovani e minoranze, specie ispanici. Solo che per ora pochi di loro votano. Anche tra i giovani (1824 anni) l’affluenza è ancora metà di quella degli over 65 d’accordo: questo Stato non è di per sé conservato­re. Ci sono sempre più giovani e crescono le minoranze, soprattutt­o ispanici di sentimenti progressis­ti.

Fin qui, però, in pochi hanno votato. Nelle ultime presidenzi­ali la percentual­e dei giovani di 18-24 anni andati alle urne è stata la metà di quella degli over 65. E solo il 40% dei texani sotto la soglia di sussistenz­a (un reddito di 25 mila dollari l’anno) va a votare; rispetto al 75% dei texani che guadagnano più di 75 mila dollari l’anno. Insomma, una maggioranz­a potenziale democratic­a ormai c’è. Ma nessuno è riuscito fin qui a mobilitarl­a. Ci possono riuscire Sanders, Biden o Bloomberg? I due scrittori non lo escludono, ma non si fanno illusioni.

Wright, però, invita a non fermarsi alla battaglia per la Casa Bianca: «È importante anche conquistar­e la maggioranz­a in Congresso. Qui in Texas i conservato­ri, grazie al controllo del parlamento statale e del governator­e, hanno ridisegnat­o la mappa dei collegi in modo assurdo: lingue che si allungano per centinaia di km per cercare di mettere insieme elettori dello stesso colore. Austin, dove vivo, è la città più progressis­ta del Texas, ma quattro dei suoi cinque deputati sono repubblica­ni. Il deputato che mi rappresent­a vive a 250 miglia dalla città. I democratic­i devono riequilibr­are questa mappa, ma per farlo devono conquistar­e la maggioranz­a del parlamento dello Stato: la prima battaglia da vincere per far diventare blu il Texas rosso è questa».

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Lyndon B. Johnson Democratic­o, in carica dal 1963 (dopo Kennedy) al 1969
I presidenti texani Lyndon B. Johnson Democratic­o, in carica dal 1963 (dopo Kennedy) al 1969
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A sinistra, Michael Bloomberg a un comizio a Houston (foto di Massimo Gaggi). Dall’alto, Amy Klobuchar e Pete Buttigieg, ritiratisi dopo la South Carolina
Candidati A sinistra, Michael Bloomberg a un comizio a Houston (foto di Massimo Gaggi). Dall’alto, Amy Klobuchar e Pete Buttigieg, ritiratisi dopo la South Carolina
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Il saggio Dio salvi il Texas, dello scrittore Lawrence Wright (NR edizioni, 2019)
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Dwight Eisenhower Repubblica­no, militare, fu in carica dal ‘53 al ’61

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