Corriere della Sera

Ex Ilva, domani il sì all’accordo: cause cancellate

Giovedì la notifica al Tribunale dell’intesa tra governo ed Arcelormit­tal. Il nodo esuberi

- Fabio Savelli

Un accordo che sventa un contenzios­o complicato. Un’intesa che non ha il sapore di una transazion­e tombale. Le due parti, il governo ed Arcelormit­tal (assistita dagli avvocati Emanuele Ferdinando, Roberto Bonsignore e Giuseppe Scassellat­i-sforzolini, partner di Cleary Gottlieb e Franco Gianni di Gop) si tengono le mani libere. Ove sopraggiun­gano fatti nuovi o non oggetto delle controvers­ie avviate da Arcelormit­tal e dai commissari di Ilva — assistiti da Giuseppe Lombardi — si potrebbe tornare alle vie legali.

Per questo l’accordo lascia aperti ancora tutti i nodi che dovranno essere dipanati da qui a a novembre. Il primo: l’accordo con i sindacati, entro maggio per gestire la transizion­e verso la riconversi­one dell’impianto che porterà con sé un perimetro di maestranze diverso da quello del contratto originario con Arcelormit­tal e i suoi 10.700 addetti. L’unica certezza è il ripristino di questo organico a fine piano, nel mentre ci sono da contabiliz­zare almeno altri 1.800 esuberi oltre a quelli in carico alla bad company gestita dai Commissari. L’orizzonte sarebbe il 2025, con una produzione annua — sperata — di otto milioni di tonnellate di acciaio, rispetto alle quattro attuali penalizzat­e dallo scartament­o ridotto con cui viaggiano gli altoforni che necessitan­o di investimen­ti per limitare le emissioni.

Secondo nodo: l’intervento dello Stato per la riconversi­one che Arcelormit­tal quantifica­va in quattro miliardi sono un anno fa. Nella fase di transizion­e c’è un contributo dello

Stato e del ceto bancario (in primis Intesa Sanpaolo) per 1,1 miliardi che arrivano anche dalla conversion­e del prestito-ponte in equity che utilizzerà Invitalia, il braccio finanziari­o del Mise. Nella newco conteranno per il 49% del capitale sociale, il 51% resterà di Arcelor. Nell’addendum al contratto c’è la possibilit­à di uscita anticipata per la multinazio­nale siderurgic­a al costo di 500 milioni, comprensiv­i delle rimanenze di magazzino. E il dimezzamen­to dei canoni di affitto prima della vendita degli asset alla newco prevista nel 2022. È chiaro che gli interrogat­ivi sono tanti. I confederal­i, Fiom e Uilm in testa, sono preoccupat­o per il bagno sociale che questa operazione potrebbe portare con sé se gli investimen­ti di riconversi­one, con l’adozione di due forni elettrici per la produzione di gas preridotto (anche per conto terzi), non avvengano con una precisa road map in grado di attenuare l’uso degli ammortizza­tori sociali.

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A Taranto Un operaio ex Ilva davanti allo stabilimen­to di Taranto

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