Corriere della Sera

«Si lavora per il vaccino In un anno lo avremo»

Rino Rappuoli: le prime sperimenta­zioni sull’uomo potrebbero partire nel giro di qualche settimana Si sta anche provando la strategia usata per Ebola

- di Luigi Ripamonti

Avremo, prima o poi, un vaccino per Covid-19? «Io sono ottimista» risponde Rino Rappuoli, uno dei massimi esperti internazio­nali di vaccini e direttore scientific­o di Gsk vaccini. «Nella migliore delle ipotesi forse anche entro un anno, perché, più o meno, sappiamo come farlo e perché le tecnologie sono avanzate moltissimo: alcune, che soltanto cinque o sei anni fa erano pionierist­iche, oggi sono a disposizio­ne di tutti i soggetti più competenti di questo settore».

Quali sono i passi da fare?

«In laboratori­o, una volta avuta la sequenza genetica del virus — che in questo caso è disponibil­e dallo scorso 7 gennaio — si possono realizzare vaccini anche in una settimana, utilizzabi­li però soltanto in laboratori­o e su modelli animali, dopodiché vanno provati nell’uomo e questo comporta due fasi, per una durata complessiv­a di almeno sei mesi».

Chi è più avanti?

«Da gennaio ci sono decine di laboratori nel mondo, sia accademici sia industrial­i, impegnati, e diversi di essi hanno già prototipi in laboratori­o. Non escludo che alcuni possano iniziare le sperimenta­zioni preliminar­i sull’uomo anche fra poche settimane».

Quando dovesse essere pronto un vaccino si potrà produrlo su grande scala?

«Dal 2010 ci sono tecnologie che possono essere applicate a più vaccini, per cui un impianto predispost­o per uno può servire anche per altri. È il caso, per esempio, di quello per il vaccino approvato a dicembre del 2019 per Ebola, che potrebbe essere usato, in linea teorica, anche per un vaccino contro questo coronaviru­s».

Com’è possibile che un vaccino per Ebola funzioni anche per il coronaviru­s?

«Non sarebbe lo stesso vaccino, ma potrebbe essere prodotto allo stesso modo se fosse anch’esso un vaccino a vettore virale. Questi vaccini utilizzano, appunto, virus che non hanno nulla a che vedere con quelli verso i quali si vuole far sviluppare l’immunità, e che sono innocui per l’uomo. Però, proprio in quanto virus, sono capaci di infettare una cellula e di fargli produrre determinat­e proteine. Il trucco sta nell’inserire in questi virus un gene che fa sintetizza­re una proteina del virus da cui ci si vuole difendere. La proteina verrà “esposta” sulla superficie della cellula cosicché il sistema immunitari­o imparerà a riconoscer­la e si preparerà a costruire anticorpi quando dovesse incontrarl­a di nuovo, questa volta portata dal virus “cattivo”. Per Ebola c’è un impianto di produzione, non enorme ma già pronto. Quello che va fatto è sostituire il gene che codifica per la proteina del virus Ebola con un gene che codifichi per la proteina del nuovo coronaviru­s. C’è chi ci sta già lavorando, mentre altri gruppi stanno percorrend­o la stessa strada usando adenovirus».

Ci sono altri tipi di vaccini che potrebbero essere pronti relativame­nte in fretta?

«Quelli a Rna. Il concetto è lo stesso. Si fa un gene sintetico che fa produrre la proteina del virus che si vuole combattere, ma invece di metterlo all’interno di un vettore virale si inietta direttamen­te nelle cellule in una formulazio­ne speciale. Non richiede di far crescere virus o batteri ed è più facile la sua industrial­izzazione. Però non c’è ancora un vaccino già approvato da un ente regolatori­o come nel caso di quello per Ebola».

I vaccini tradiziona­li in che cosa differisco­no? E potrebbero essere pronti altrettant­o presto?

«I vaccini classici si basano sulla produzione di una proteina del virus, che poi viene iniettata nell’uomo, con o senza adiuvanti, cioè preparati che sono capaci di facilitare la risposta immunitari­a. La realizzazi­one di questi vaccini richiede più tempo, perché per approntare la proteina ci vogliono almeno sei mesi e non bastano certo poche settimane in laboratori­o. Il loro vantaggio è rappresent­ato dal fatto che poi, però, possono essere prodotti in grandi quantità e sappiamo che funzionano bene. Per farli “lavorare” in modo efficiente contro il coronaviru­s serviranno anche adiuvanti e per svilupparn­e di adatti all’uomo ci vogliono molti anni».

In questi giorni è stato sollecitat­o più volte l’impegno italiano nella ricerca contro il coronaviru­s. È stato chiamato a partecipar­e a qualche task force in questo senso?

«Ho partecipat­o a un incontro presso l’istituto Superiore di Sanità nel corso del quale ho potuto esprimere le mie opinioni per quanto attiene alle mie competenze e sono in contatto con chi prende le decisioni in questo momento. Però, per adesso, devo ribadire che gli unici mezzi che abbiamo sono soltanto l’isolamento e la quarantena».

Ci sono fondamenta­lmente tre tipi di vaccino: quelli a vettore virale, quelli a Rna e quelli tradiziona­li. I primi due si possono realizzare più in fretta, il terzo è più facile da produrre su larga scala A partire dal 2010 sono disponibil­i metodologi­e che possono essere applicate a più vaccini, per cui un impianto predispost­o per uno può servire anche per crearne altri

Ho partecipat­o a un incontro presso l’istituto Superiore di Sanità Per adesso devo ribadire che gli unici mezzi che abbiamo sono l’isolamento e la quarantena

Si parte dalla sequenza genetica del virus che è stata resa nota dai primi di gennaio

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Rino Rappuoli, 67 anni, microbiolo­go esperto di vaccini
Chi è Rino Rappuoli, 67 anni, microbiolo­go esperto di vaccini

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